Scuola, quei volti noti tra la fisicità ostile delle grafie

Una riflessione a partire dalle differenti, «indecifrabili, misteriose» calligrafie degli studenti sulle ultime verifiche dell’anno scolastico. Come il codice di un mondo perduto

Ne ho una in seconda che mette in testa a tutte le “i” un pallino tondo come una ciliegia, al posto del puntino in alto. Glielo faccio notare, lei nicchia, ma continua a mettere in testa quel pallino-ciliegia sopra la “i, che il suo compito a un certo punto pare uno di quei fogli di plastica con le bolle d’aria da schiacciare a una a una. Un altro invece scrive talmente piccolo e scavato sul foglio che te lo immagini cantare, mentre tortura la penna, «presbiopia, portalo via». Poi, c’è quella che scrive con il vento grosso da sinistra verso destra, e sembra che corra, mannaggia se corre: corre quanto parla veloce, a testa alta, che lei mica ha paura di nulla, di me, di te, della scuola e allora falle correre, ragazza, quelle parole, caspita se devi farle correre. Perché poi c’è quella che invece il vento se lo accolla tutto in senso contrario, e le lettere me le scrive tutte piegate in senso opposto, calanti, o meglio, cascanti a sinistra, come stessero inchiodando, come stessero dicendo «no, no, se proprio devo, ma non vorrei, oddio, quanto non vorrei, frena frena», e io lì che vorrei urlarle: «Ma di che hai paura? Non avere paura!».

Poi ci sono quelle, e sono tante, che scrivono tondo, tutto tondo-tondissimo, come fosse un lievitato della morbidezza di un motivetto k-pop, ma che però è anche la stessa rotondità fin dai tempi delle letterine a «Cioè», per dire che Simon Le Bon era più bello di Pierre Cosso, che ce l’abbiamo in mente negli anni di scuola tutta quella rotondità. Come anche gli spigoli di tutti quei maschi che all’opposto scrivono con le viti e i pignoni di una Vespa modificata e puzza di scarico Polini, che i maschi si sa, scrivono pure così e quando va bene capisci qualcosa, ma spesso come le Vespe grippano e allora «forse» può diventare anche «forze» e tu ti blocchi e davvero non decifri proprio più niente.

E poi le altre e gli altri, che hanno grafie di mille altre fogge, sempre più indecifrabili, misteriose, arcane e tutte le parolacce del mondo quando – ormai unico mestiere nell’universo – tu insegnante ti arrabatti ancora a decifrare gli ultimi manoscritti del genere umano, che anche il medico della mutua s’è arreso alla ricetta telematica, e gli sgorbi dei ragazzi ti toccano solo a te, sul tavolo inondato delle verifiche di maggio.

Resti lì, col fantasma del principe Myškin, il gran calligrafo, che ti sussurra all’orecchio l’arte dello svolazzo («Lo svolazzo richiede un gusto non comune, ma quando poi è riuscito, quando s’è trovata la proporzione, un carattere simile è incomparabile, è una cosa da innamorarsene addirittura»), a considerare i tuoi che sono invece l’anarchia dello sgorbio al potere, l’armata Brancaleone del tratto ormai liberatosi di ogni impotente cavezza, i teppisti dell’inchiostro e della riga violata. Eppure, quel caos esecrato dal mondo delle tastiere e delle penne d’oca continua a sussurrarti un segreto: in quella fisicità ostile di grafie che non conoscono più la norma, tu li riconosci, Arianna la riconosci, Matteo lo riconosci, come a mezzo di un codice di un mondo perduto, di cui nessuno ha più le chiavi, ma che tu e soltanto tu, che cammini insieme a loro, nonostante tutto, sai.

17 maggio 2023