“Sinaloa cowboys”, la storia di Springsteen sul traffico di droga

Un “racconto” con al centro due fratelli tra California e Messico nel brano tratto da “The ghost of Tom Joad”

«I narcos hanno sottomesso il governo, hanno sottomesso gli imprenditori e ora stanno sottomettendo i giornalisti». Era un reporter d’inchiesta Javier Váldez, e queste parole le aveva pronunciate prima di essere assassinato a Sinaloa il 15 maggio 2017. Dal 2007 sono 70 i giornalisti uccisi in Messico, più di venti quelli scomparsi. Sono solo alcune delle oltre 250mila vittime che la narco-guerra ha provocato da undici anni a questa parte nel Paese centroamericano. E proprio il 2017 era stato l’anno più violento della storia messicana con 25.339 morti. Il tasso di impunità è altissimo, e, mentre cresce l’attesa per l’insediamento del nuovo presidente López Obrador, la violenza è in aumento in 27 dei 32 Stati della nazione, soprattutto nella zona del Jalisco e degli Stati limitrofi dove si affrontano potenti cartelli mafiosi, tra cui quello di Sinaloa, che ha un giro d’affari vertiginoso per il traffico di droga in tutti i continenti.

Proprio a Sinaloa è ambientata una canzone di Bruce Springsteen, “The Boss”, che racconta la storia di due fratelli coinvolti nel traffico di droga nella California centrale, «la zona – spiegava anni fa lo stesso Springsteen – dove le bande messicane reclutano i disoccupati per portarli nei laboratori clandestini di metanfetamina».

Storia drammatica, canzone sussurrata, inserita nell’album acustico “The ghost of Tom Joad” pubblicato nel 1995 e ispirato al personaggio di “Furore” di Steinbeck e dell’omonimo film di John Ford. «Miguel veniva da una piccola città del Messico settentrionale, venne al Nord fino in California con suo fratello Louis tre anni fa – canta Springsteen -, attraversarono il fiume sul confine. Louis aveva appena sedici anni e trovarono lavoro entrambi nei campi del San Joaquin. Lasciarono la loro casa e famiglia, il padre gli disse: – figli miei imparerete una cosa: per ogni cosa che vi dà
il nord esige un prezzo – lavorarono fianco a fianco nei frutteti dalla mattina alla sera facendo lavori che i nordamericani non volevano.…». E questa frase potrebbe ricordare qualcosa anche a noi, con i tanti migranti sfruttati in varie parti d’Italia a fare lavori massacranti per pochi euro.

Ma ecco la svolta. «Si diceva in giro che certa gente di Sinaloa cercava manodopera / beh, giù nella contea di Fresno c’era un allevamento di polli abbandonato e lì in una baracca di latta sul giaciglio di un burrone Miguel e Louis cuocevano metanfetamina. Puoi stare un anno a lavorare nei frutteti o fare almeno la metà di quei soldi in un solo turno di dieci ore lavorando per quelli di Sinaloa ma se sbagli qualcosa l’acido iodidrico ti può ustionare e, se li respiri, quei vapori ti lasciano nel deserto a sputare sangue».

È già un allarme per il finale, che arriva, senza scampo. «Era una sera dei primi giorni d’inverno / Miguel guardava fuori quando la capanna esplose illuminando la vallata immersa nel buio / Miguel si mise Louis sulle spalle / e scese giù per il fossato fino al letto asciutto del torrente / lì, tra l’erba incolta Louis Rosales morì. Miguel mise il corpo di Louis sul camion e guidò verso quel posto in cui la luce del mattino cade su una piantagione di eucalipti» – bellissima questa immagine – «lì scavò una buca / vi gettò diecimila dollari, tutto quello che avevano risparmiato / baciò il fratello sulle labbra e lo seppellì».

 

27 novembre 2018