Cibo, acqua, medicine, vestiti asciutti e coperte. Li hanno consegnati ieri, 9 aprile, i volontari dell’ong Moas alla nave Alan Kurdi della Sea Eye, bloccata da oltre una settimana in acque internazionali con a bordo 63 persone, tra i quali donne e bambini, dopo aver visto rifiutata la concessione di un porto sicuro. Sempre ieri una donna di 24 anni che aveva perso i sensi è stata sbarcata Malta dalle forze armate maltesi per assicurarle assistenza medica.

Da Moas, una delle ong costrette a sospendere le operazioni nel Mediterraneo, ricordano che «la maggior parte di coloro che si trovano a bordo ha già vissuto atrocità inimmaginabili in Libia e siamo quindi profondamente rattristati dal fatto che la nave sia rimasta bloccata per così tanto tempo, specialmente quando tra i migranti a bordo vi sono un neonato e un bambino che hanno dovuto affrontare condizioni metereologiche avverse con approvvigionamenti limitati. Non possiamo ignorare il dramma e la sofferenza di coloro che si trovano alle porte dell’Europa – proseguono -. La recrudescenza della violenza in Libia non fa che aumentare la necessità di creare canali di ingresso sicuri e legali per le persone vulnerabili che hanno disperatamente bisogno di protezione».

L’auspicio della ong è dunque che la comunità internazionale «possa adesso prendersene cura dando prova di solidarietà e compassione nei confronti di questa imbarcazione e consentire a coloro i quali si trovano a bordo un porto sicuro in Europa». Nel frattempo, i negoziati tra i Paesi Ue sulla distribuzione delle persone salvate sono ancora in corso e la Sea Eye prepara una battaglia legale a causa del fermo forzato dei naufraghi, a cui finora è stato impedito di scendere dalla nave. L’Italia, infatti, ha prima rifiutato l’attracco in un porto sicuro dopo il salvataggio, aggiungendo poi che solo le madri con i bambini potevano scendere; una proposta, questa, rifiutata dalle famiglie. Anche Malta non ha dato il consenso all’attracco. Al momento, informano dalla Sea Eye, una squadra internazionale di avvocati sta lavorando al caso della “Alan Kurdi”, dice la Sea Eye: «Le convenzioni delle Nazioni Unite sui diritti umani regolano, tra le altre cose, il diritto alla libertà, alla sicurezza e all’integrità fisica. Queste leggi regolano anche gli obblighi di uno Stato per proteggere le famiglie», dichiara il portavoce Dominik Reisinger.

10 aprile 2019