Dalla Corte penale internazionale un mandato d’arresto per Netanyahu, Gallant e Deif

Contestati crimini di guerra e contro l’umanità, a carico del premier israeliano e del suo ex ministro della Difesa, ma anche del capo militare di Hamas, che però Israele ritiene di aver ucciso in un raid a Gaza. Tajani (Farnesina): «L’Italia sostiene la Cpi»

Crimini di guerra e contro l’umanità. Dopo oltre un anno di combattimenti e circa 44mila morti tra i palestinesi, la Corte penale internazionale (Cpi) ha spiccato mandati  di arresto  a carico del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, del suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant e del capo militare di Hamas Mohammed Deif, che però Israele ritiene di aver ucciso in un raid a Gaza, nel luglio scorso. Nel caso dei primi due, si tratta dei primi mandati di arresto per i leader di un Paese abitualmente sostenuto dall’Occidente.

L’arco temporale preso in considerazione per Netanyahu e Gallant, si legge nella nota della Corte che ne illustra le motivazioni, va «dall’8 ottobre 2023 fino ad almeno il 20 maggio 2024, giorno in cui la Procura ha depositato le domande di mandato di arresto». La richiesta dei mandati di arresto è partita dal procuratore capo della Cpi Karim Khan, mentre era in corso l’offensiva di terra israeliana contro Rafah, ultima città a sud della Striscia di Gaza, al confine con l’Egitto. Un’operazione contro cui si erano espressi anche gli alleati di Tel Aviv, poiché in quei giorni Rafah era diventata meta ultima per gli sfollati da tutta la Striscia, e si contava ospitasse oltre l’80% della popolazione totale.

«La Camera ha ritenuto che i presunti crimini contro l’umanità potrebbero fare parte di un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile di Gaza», prosegue il testo della Corte penale internazionale, in cui si parla anche di « fondati motivi per ritenere che entrambi gli individui abbiano intenzionalmente e consapevolmente privato la popolazione civile di Gaza di beni indispensabili alla loro sopravvivenza, tra cui cibo, acqua, medicine e forniture mediche, nonché carburante ed elettricità», almeno nel periodo preso in esame.

Per la Cpi, «sussistono fondati motivi per ritenere che la mancanza di cibo, acqua, elettricità e carburante, nonché di specifiche forniture mediche, abbia creato condizioni di vita tali da provocare la distruzione di parte della popolazione civile di Gaza, con conseguente morte di civili, compresi bambini, a causa di malnutrizione e disidratazione». È escluso il crimine di sterminio, tuttavia «la Camera ha ritenuto che vi siano fondati motivi per ritenere che il crimine contro l’umanità di omicidio sia stato commesso in relazione a queste vittime”. Ancora, si parla di «fondati motivi» per ritenere che il premier israeliano e il suo ex ministro della Difesa «abbiano una responsabilità penale per il crimine di guerra della fame come metodo di guerra».

Riguardo a Mohammed Deif, comandante militare dell’ala militare di Hams, le Brigate Qassam, in una dichiarazione separata dalla Corte spiegano di aver deciso «all’unanimità» di emettere il mandato di cattura «per presunti crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi sul territorio dello Stato di Israele e dello Stato di Palestina almeno a partire dal 7 ottobre 2023». Vale a dire, dal giorno dell’attacco contro località a sud di Israele, fino al sito in cui si stava svolgendo il festival musicale Supernova, insieme a villaggi e kibbutz. «I presunti crimini – aggiungono – includono il lancio di razzi sul territorio israeliano» e «gli attacchi che in quella giornata hanno ucciso almeno 1.139 persone», tra cui cittadini israeliani e stranieri. Quel giorno anche 244 persone sono state catturate e portate nella Striscia di Gaza, e a oggi circa un centinaio sono ancora ostaggio della fazione palestinese.

Immediata la reazione di Israele, con i due leader che parlano di «decisione antisemita», da parte della Corte dell’Aja, degna di «un nuovo processo Dreyfus», hanno dichiarato dall’ufficio di Netanyahu. Per Gallant, la Corte «mette sullo stesso piano Israele e Hamas, incoraggiando il terrorismo». Sul fronte opposto, Hamas – senza mai citare Deif – ha espresso invece apprezzamento per «il passo importante verso la giustizia».

Al fianco di Israele Stati Uniti – con l’amministrazione Biden che ha fatto sapere di «respingere categoricamente» la decisione della Cpi, non riconoscendone la giurisdizione su questa questione – e Argentina, il cui presidente Javier Milei ha dichiarato che così «si ignora il legittimo diritto di Israele a difendersi dagli attacchi costanti di Hamas e Hezbollah». Dall’Europa invece l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell ha difeso i giudici dell’Aja, sottolineando che la loro «non è una decisione politica, ma la decisione di un tribunale che deve essere rispettata e applicata. La tragedia a Gaza deve finire», ha aggiunto, prima di ricordare che quella della Corte penale internazionale è una «decisione vincolante» per tutti i Paesi Ue.

In concreto, se uno dei ricercati dalla Corte dovesse entrare nel loro territorio, i 124 Stati parte della Cpi che hanno aderito allo Statuto di Roma sono infatti obbligati d eseguire il mandato d’arresto. Anche quando, come in questo caso, si tratta di un capo di governo. «Contiamo sulla loro cooperazione», ha affermato il procuratore Khan, che ha annunciato anche che il suo ufficio continua a indagare, viste «le segnalazioni di violenza crescente» e di altre violazioni del diritti internazionale umanitario ancora in corso a Gaza e in Cisgiordania.

Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha assicurato che l’Italia «sostiene la Corte penale internazionale e valuterà insieme ai nostri alleati come comportarci insieme su questa vicenda». Anche il titolare della Difesa Guido Crosetto, che pure ritiene «sbagliata» la decisione della Corte, ha sostenuto che se Netanyahu e Gallant «venissero in Italia dovremmo arrestarli, perché noi rispettiamo il diritto internazionale».

22 novembre 2024