«Signor ministro, in occasione della sua venuta a Fermo per l’apertura della Questura della nostra Provincia mi permetto esporre alcune considerazioni, quale responsabile del Cas di Fermo, che ospita presso il nostro Seminario Arcivescovile oltre 100 immigrati dall’aprile del 2014». Inizia così la lettera aperta che don Vinicio Albanesi, presidente della Fondazione “Caritas in veritate”, impegnata nell’accoglienza dei migranti, e della Comunità di Capodarco ha consegnato al titolare dell’Interno in occasione della sua visita a Fermo per l’inaugurazione della Questura, del Comando provinciale dei Carabinieri e del Comando provinciale della Guardia di Finanza.

Il sacerdote fa risalire all’inizio del 2000 – «emigrazione albanese, seguita da quella marocchina, tunisina, egiziana, afgana, egiziana, pakistana» – le caratteristiche «strutturali» del fenomeno migratorio. Di fronte a questa evidenza tuttavia «le politiche attivate sono state difensive: fermare l’invasione. Una politica non risolutiva. Si è costretti a ricorrere a lavori sporchi da affidare a terzi: Turchia, Grecia, Libia con la costruzione di piccoli grandi agglomerati di sbarramento che assomigliano a lager, nella speranza di ridurre l’immigrazione». In questa politica di contenimento, «l’Italia è rimasta sola. I recentissimi gesti di solidarietà dell’accoglienza di emigrati da parte di alcune nazioni europee sembrano concessioni, quasi elemosine. L’Europa è un continente che sta invecchiando, circondato da popoli giovani e affamati. Se il fenomeno immigratorio non sarà gestito saremo davvero invasi».

La proposta allora è «chiedere alla Ue la copertura economica di tutto il lavoro di accoglienza fatto dall’Italia. L’accordo di Dublino, che egoisticamente le nazioni europee non vogliono modificare, ha i suoi costi. Si crei il fondo per l’immigrazione come spesa di bilancio Ue. Si attutisce almeno la guerra tra poveri italiani e poveri stranieri». L’esortazione è a invertire la politica dell’immigrazione «da difensiva in propositiva. Corridoi umanitari per le popolazioni in guerra; progetti di aiuto alle nazioni interessate dell’Africa. Il fondo per la cooperazione internazionale si è ridotto quasi a zero; va ripristinato adeguatamente in uno sforzo congiunto dell’Europa». Ancora, il sacerdote mette in evidenza «il problema della sacca di immigrati che sopravvivono in Italia senza permesso di soggiorno. Nessuno sa quanti sono: di fatto, ad oggi, i permessi di soggiorno non superano il 10% delle richieste. I restanti “apolidi” sono spesso causa di fenomeni di aggressività e di disagio sociale. Dimenticare questo “serio” problema creerà maggiori problemi che non possono essere risolti solo con le forze dell’ordine. L’invito pressante è guardare al futuro per un paese che non perde la propria identità, ma riesce a integrare i nuovi cittadini, che hanno uguali diritti e doveri di ogni abitante del Paese».

17 luglio 2018