Il Papa alla Penitenzieria: «Non sono le leggi a salvare»
Udienza ai partecipanti al Corso sul foro interno, col cardinale Piacenza. «Si cambia per l’incontro con un grande amore. Confessarsi non è andare in tintoria»
«Abbandonarsi all’amore, lasciarsi trasformare dall’amore e corrispondere all’amore». Sono le tre espressioni che Francesco ha usato, ricevendo in udienza questa mattina, 12 marzo, i partecipanti al XXXI Corso sul foro interno promosso dalla Penitenzieria apostolica, guidati dal penitenziere maggiore il cardinale Mauro Piacenza, per spiegare il senso del sacramento della riconciliazione. «Andare a confessarsi – ha detto, parlando a braccio – non è andare in tintoria a togliersi una macchia». Quindi, la riflessione sull’amore: «Se non c’è amore, non è come Gesù lo vuole, se c’è funzionalità, non è come Gesù lo vuole: amore verso il fratello e la sorella, peccatori, peccatrici perdonati, questo è fondamentale».
La fede, ha continuato ancora il Papa, «si esprime e si comprende dentro a una relazione: la relazione tra Dio e l’uomo e tra l’uomo e Dio, secondo la logica della chiamata e della risposta: Dio chiama e l’uomo risponde. Noi chiamiamo Dio e lui risponde sempre. La fede – ha aggiunto – è l’incontro con la misericordia, con Dio stesso che è misericordia, ed è l’abbandono tra le braccia di questo amore, misterioso e generoso, di cui tanto abbiamo bisogno, ma al quale, a volte, si ha paura ad abbandonarsi». Ma chi non si abbandona all’amore di Dio, è il monito di Francesco, «finisce, prima o poi, per abbandonarsi ad altro, finendo tra le braccia della mentalità mondana, che alla fine porta amarezza, tristezza e solitudine». Il primo passo per una «buona confessione» allora è proprio «l’atto di fede, di abbandono, con il quale il penitente si accosta alla misericordia». Proprio per questo, ogni confessore «deve essere capace di stupirsi sempre per i fratelli che, per fede, domandano il perdono di Dio e, ancora solo per fede, si abbandonano a Lui, consegnando sé stessi nella confessione. Il dolore per i propri peccati è il segno di tale abbandono fiducioso all’amore».
Il presupposto è che «non sono le leggi a salvare: l’individuo non cambia per un’arida serie di precetti ma per il fascino dell’amore percepito e gratuitamente offerto», ha ribadito il pontefice, citando il capitolo 23 del Vangelo di Matteo. L’amore «che si è manifestato pienamente in Gesù Cristo e nella sua morte in croce per noi». E «il penitente, che incontra, nel colloquio sacramentale, un raggio di questo amore accogliente, si lascia trasformare dall’amore, dalla grazia, iniziando a vivere quella trasformazione del cuore di pietra in cuore di carne. Anche nella vita affettiva è così – il commento -. Si cambia per l’incontro con un grande amore. Il buon confessore è sempre chiamato a scorgere il miracolo del cambiamento, ad accorgersi dell’opera della grazia nei cuori dei penitenti, favorendone il più possibile l’azione trasformante». E, per Francesco, «l’integrità dell’accusa è il segno di questa trasformazione che l’Amore opera: tutto è consegnato, perché tutto sia perdonato».
Il Papa si è soffermato quindi sulle “conseguenze”: «Chi è stato accolto dall’amore, non può non accogliere il fratello. Chi si è abbandonato all’amore, non può non consolare gli afflitti. Chi è stato perdonato da Dio, non può non perdonare di cuore ai fratelli. È l’amore per il fratello il luogo della corrispondenza reale all’amore di Dio – ha evidenziato -. Amando i fratelli mostriamo a noi stessi, al mondo e a Dio di amare davvero Lui e corrispondiamo, sempre in modo inadeguato, alla sua misericordia». Per questo «il buon confessore indica sempre, accanto al primato dell’amore di Dio, l’indispensabile amore per il prossimo, come palestra quotidiana nella quale allenare l’amore per Dio».
Da Francesco, quindi, ancora un’esortazione: «Ricordiamo sempre che ciascuno di noi è un peccatore perdonato, posto al servizio degli altri, perché anch’essi, attraverso l’incontro sacramentale, possano incontrare quell’amore che ha affascinato e cambiato la nostra vita». E ancora: «Se uno di noi non si sente così», non si sente, cioè, un peccatore perdonato, «meglio che non faccia il confessore». Di qui l’invito a «perseverare con fedeltà nel ministero prezioso che svolgete, o che presto vi verrà affidato: è un servizio importante per la santificazione del popolo santo di Dio».
12 marzo 2021