Il rischio è «perdere la carità». Bianchi alla Chiesa degli Artisti
Il priore di Bose all’incontro organizzato dall’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali: «Imparare il significato della pazienza dai più poveri»
Il priore di Bose all’incontro organizzato dall’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali: «Imparare il significato della pazienza dai più poveri»
Noi, società tecnologica, rischiamo di perdere la carità. Ieri, 7 aprile, Enzo Bianchi, priore della Comunità monastica di Bose, nel quarto incontro sulla comunicazione del Giubileo a Santa Maria in Montesanto – la Chiesa degli Artisti – ha affidato agli ascoltatori questa sua riflessione sul tema “Carità e Misericordia”: «La società tecnologica elimina sempre di più la dimensione della prossimità dei vissuti, crea una completa distanza tra noi umani, non c’è più l’altro che sta vicino, quello su cui posare la mano. Così è più facile il trionfo dell’indifferenza, dell’individualismo che conduce alla morte della carità».
Complice la quotidianità: «Non abbiamo tempo, non abbiamo desiderio e voglia di stare con l’altro – ha aggiunto – sempre più lontano, sempre meno accolto. Pensateci bene: non abbiamo più desiderio di prendere tra le mani un volto o le mani di un altro. Comunichiamo virtualmente, amiamo con una carità presbite, perché non siamo capaci di un gesto d’affetto verso chi abita sul nostro pianerottolo».
Don Walter Insero, rettore della basilica e incaricato dell’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali che ha organizzato l’incontro, ha sottolineato che al tema principale dell’evento è stata aggiunta la domanda “come metterci al servizio dei più poveri?”: «queste domande le portiamo nel cuore». Misericordia e Carità, ha esordito dopo la presentazione il priore, si prestano a diverse interpretazioni. Misericordia significa “cuore per i miseri”: «un sentimento e insieme un comportamento davanti alla miseria altrui. Il nostro cuore reagisce di fronte alla sofferenza, di fronte alla visione del male».
A questa si affianca la carità, per cui «il corpo, la carne dell’altro – ha spiegato Bianchi – è fondamentale». Per Gesù, la misericordia non era solo un sentimento, ma un’azione: «ha curato i malati, ha consolato gli afflitti, ha perdonato quelli che avevano peccato. Per Gesù erano poveri tutti quelli che si trovavano nel bisogno». Il suo è un grande insegnamento per il nostro metterci a far misericordia: «Quando l’altro mostrava il suo volto, Gesù si avvicinava con un’azione che lo rendeva prossimo. Azione necessaria per noi che siamo umani, perché siamo innanzitutto corpi. È nella vicinanza dei corpi, nell’usare la carne che può avvenire questo incontro».
Nella mancanza di carità invece si cela il peccato: «E noi crediamo che non avendo fatto azioni cattive abbiamo fatto il bene? – ha incalzato Bianchi – I peccati sono di omissione di carità, tanti quanti sono i bisogni». Degli altri peccati è più facile pentirsi: «perché lasciano una traccia in noi, i peccati di omissione non la lasciano». Proprio per questo è ancora più necessaria la prossimità: «Carità è andare da un malato per fargli capire che il nostro corpo ha cura di lui, è andare in un carcere, non avere paura e stare con loro. E ancora i malati, gli anziani. Voi sapete cosa significa stare vicino a queste persone… che fatica. Dobbiamo accettare che quei malati siano la cattedra sulla quale imparare il significato della pazienza, della cura dell’altro. Dobbiamo imparare dai poveri», poveri, ha tenuto a specificare, non per «censo» ma «per bisogno».
Vivo l’esempio di Papa Francesco: «Papa Francesco ha detto una frase molto audace “è solo amando gli altri che si impara ad amare Dio” e una del Profeta Osea in cui è Dio che parla: “Voglio misericordia, non sacrificio, voglio conoscenza di Dio piuttosto che olocausto”». Papa Francesco, ha concluso Bianchi, con questo Giubileo «vuole che la Chiesa si immerga nella misericordia di Dio» e che impari «la misericordia attiva verso gli altri».
8 aprile 2016