Italia più longeva, allarme malati cronici

I dati del rapporto annuale Osservasalute. Vita media 83,4 anni. Allarme per i 24 milioni di affetti da patologie permanenti e per le morti ospedaliere dovute a sepsi e resistenza agli antibiotici

Gli italiani sono lenti a modificare abitudini nocive per la salute come fumo, sedentarietà e alimentazione scorretta, ma nel nostro Paese si muore sempre meno, grazie soprattutto ai miglioramenti nell’assistenza sanitaria e ai traguardi della medicina moderna. Non a caso l’Italia, con 83,4 anni di vita media (81 per gli uomini; 85,6 per le donne) attesa alla nascita nel 2016 (ultimo anno disponibile per i confronti internazionali), è da anni uno dei Paesi più longevi nel contesto internazionale, secondo dopo la Spagna (83,5 anni) tra i Paesi Ue.

Un dato rilevante per la salute degli italiani è rappresentato dalla forte riduzione della mortalità prematura diminuita, dal 2004 al 2016, del 26,5% per gli uomini e del 17,3% per le donne. In generale, in poco più di 30 anni, il tasso standardizzato di mortalità totale si è ridotto di oltre il 50% nel periodo 1980-2015 ed il contributo delle malattie cardiovascolari è stato quello che più ha influito sul trend in discesa della mortalità.

Sono alcuni dati emersi dal Rapporto Osservasalute 2018 presentato oggi a Roma, giunto alla XVI edizione e curato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane che opera nell’ambito di Vihtaly, spin off dell’Università Cattolica presso la sede di Roma, con la direzione scientifica di Alessandro Solipaca, e la direzione di Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica.

Il volume (639 pagine) è frutto del lavoro di 318 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano. Se si muore meno di tumori, rivela lo studio, questi rimangono però la prima causa di morte tra i 19-64 anni. Significativamente diminuita la mortalità neonatale e infantile che ha raggiunto livelli tra i più bassi del mondo, anche migliori di quelli osservati nei Paesi occidentali più sviluppati, passando da 3,16 decessi per 1.000 nati vivi a 2,81 per 1.000 nell’arco temporale 2010-2016.

Sono quasi 24 milioni gli italiani con una patologia cronica – di questi, 12,5 milioni sono afflitti da multi-cronicità – per una spesa sanitaria che sfiora i 67 miliardi di euro, ma il numero è destinato ad aumentare. Le proiezioni indicano infatti che nel 2028 il numero dei malati cronici salirà a 25 milioni, mentre i multi-cronici saranno 14 milioni. Secondo il report, la patologia cronica più frequente sarà l’ipertensione, con quasi 12 milioni di persone affette nel 2028, mentre l’artrosi/artrite interesserà 11 milioni di italiani; per entrambe le patologie ci si attende 1 milione di malati in più rispetto al 2017. Tra 10 anni le persone affette da osteoporosi, invece, saranno 5,3 milioni, 500mila in più rispetto al 2017. Inoltre, gli italiani affetti da diabete saranno 3,6 milioni, mentre i malati di cuore 2,7 milioni.

La progressiva crescita di pazienti cronici implicherà un sempre maggiore impegno di risorse sanitarie, economiche e sociali. «Attualmente – si legge nel report – nel nostro Paese si stima si spendano complessivamente circa 66,7 miliardi di euro per la cronicità; stando alle proiezioni effettuate sulla base degli scenari demografici futuri e ipotizzando una prevalenza stabile nelle diverse classi di età, nel 2028 spenderemo 70,7 miliardi».

«Lo scenario che si prospetta – sottolinea Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio – evidenzia che la sfida che il Ssn dovrà affrontare è quella legata alle crescenti fragilità degli anziani, la spesa da sostenere per questo gruppo di popolazione non potrà gravare tutta sul settore sanitario, perché si tratta di prestazioni con una forte connotazione socio-assistenziale». Secondo il direttore Walter Ricciardi, «per il Ssn è necessario intensificare gli sforzi per promuovere la prevenzione e un cambio di paradigma rispetto all’organizzazione dei servizi di cura, definendo nuovi percorsi assistenziali in grado di prendere in carico il paziente nel lungo termine, prevenire e contenere la disabilità, garantire la continuità assistenziale e l’integrazione degli interventi socio-sanitari».

Oltre alle malattie croniche, tra le problematiche che condizionano la vita di un anziano c’è la depressione, che ne colpisce quasi 1 su 5: il 19,5% degli ultra 75enni. Carente, rivela ancora il rapporto, l’assistenza dedicata agli anziani: in Italia, nonostante l’elevata percentuale di ultra 80enni, è ancora troppo bassa la quota della spesa sanitaria complessiva allocata da tutto il sistema all’assistenza sanitaria a lungo termine (10,1%) se confrontata con quella di Paesi con simile livello di invecchiamento (14,8% in Francia e 16,5% in Germania).

I fumatori sono circa 10 milioni e 370mila. Si tratta del 19,7% della popolazione di 14 anni ed oltre. Più di un terzo della popolazione di età 18 anni ed oltre (35,4%) è in sovrappeso, mentre poco più di una persona su dieci è obesa (10,5%), dati quasi immutati rispetto al 2016. Dai dati dell’Oms raccolti in 19 Paesi europei, l’Italia è tra quelli a più alta prevalenza di sovrappeso e obesità nei bambini di età 8-9 anni insieme a Grecia e Spagna, mentre i Paesi del Nord Europa presentano prevalenze più basse. I dati di lungo periodo evidenziano un aumento della propensione alla pratica sportiva in modo continuativo, tuttavia i sedentari sono ancora molti, oltre 22,4 milioni, pari al 38,1% della popolazione.

Un vero e proprio allarme per morti da sepsi e antibioticoresistenza lo lancia Ricciardi. «Il nostro Paese è in un’emergenza assoluta, non conosciuta e non stimata. Migliaia di persone muoiono ogni giorno nei nostri ospedali per infezioni e antibioticoresistenza. Su 28 Paesi Ue, il 30% delle morti per sepsi ospedaliere avviene in Italia. Questo chiama in causa il ministero della Salute, l’Istituto superiore di sanità, l’Aifa e l’Agenas (Agenzia per i servizi sanitari regionali) perché la strage è già in corso ma diventerà un’ecatombe». Per l’esperto, nel nostro Paese «il problema delle infezioni ospedaliere sembra ineluttabile e viene considerato con rassegnazione a livello centrale e periferico. In Svezia e Olanda, invece, ogni ospedale prevede un comitato per il contrasto alle infezioni».

Da che cosa dipende l’antibioticoresistenza? «Dal fatto che in Italia si consumano troppi antibiotici, anche quando non sono necessari, ma molta della nostra antibioticoresistenza nasce dal fatto che mangiamo maiali e polli d’allevamento ai quali vengono somministrati antibiotici non solo quando sono malati ma a scopo preventivo. All’interno di questi animali, pezzi di genoma si modificano ed entrano nel genoma di chi li mangia».

15 maggio 2019