Ius soli. Di Tora (Cei): «Hanno diritto di sentirsi cittadini italiani»
Per il presidente di Migrantes e della Commissione migrazioni, «la discussione è stata estremizzata» ma l’integrazione «è l’inizio di un mondo nuovo»
Per il presidente di Migrantes e della Commissione episcopale migrazioni, «la discussione è stata estremizzata» ma l’integrazione «è l’inizio di un mondo nuovo»
I bambini e i ragazzi nati in Italia e quelli che hanno frequentato almeno 5 anni di scuola “hanno il diritto di sentirsi cittadini italiani”. Lo ribadisce monsignor Guerino Di Tora, vescovo ausiliare di Roma, presidente della Fondazione Migrantes e della Commissione episcopale Cei per le migrazioni, in merito al dibattito politico in corso sull’approvazione della legge per dare la cittadinanza italiana a chi nasce (ius soli) e studia (ius culturae) in Italia. Al momento riguarda 1 milione di bambini e giovani, figli di persone già regolarmente residenti nel Paese. «Purtroppo la discussione è stata estremizzata, è diventata motivo di contrasto – osserva -. Siamo vicino al ballottaggio politico, quindi anche questa realtà assume una valenza politica sia per i partiti di sinistra, sia per quelli di destra».
Qual è la posizione della Chiesa italiana sul tema della cittadinanza?
Bambini e ragazzi nati in Italia, figli di persone oramai regolari che vivono e si comportano nel migliore dei modi, vanno a scuola con gli altri, parlano la lingua italiana e hanno il desiderio di integrarsi pienamente nella nostra realtà hanno il diritto di sentirsi cittadini italiani. In altre nazioni europee è già stato fatto. Sono persone che già abitano stabilmente nella nostra società. Altro caso è chi è nato fuori dalla nostra nazione, ma ha frequentato almeno 5 anni di scuola per poter essere inserito nel contesto della nostra cittadinanza. Purtroppo la discussione è stata estremizzata, è diventata motivo di contrasto. Siamo vicino al ballottaggio politico, quindi anche questa realtà assume una valenza politica sia per i partiti di sinistra, sia per quelli di destra.
L’opinione pubblica è divisa e molti non capiscono i vantaggi di avere persone integrate nella società italiana. Quali sono, a suo avviso?
Oggi il fenomeno delle migrazioni non è transitorio. È una realtà epocale con la quale ci dobbiamo misurare. È impensabile voler alzare dei muri, fermare le migrazioni attraverso barriere esterne, fili spinati. È già accaduto in passato. Ricordiamo le invasioni barbariche, nell’VIII secolo la grande migrazione dall’Oriente verso l’Occidente. Non dimentichiamo che il fenomeno migratorio, anche all’interno dell’Italia, non è nuovo. Nel dopoguerra tutto il Sud si è spostato verso il Nord. È quindi un fenomeno che va governato, di fronte al quale dobbiamo porci in atteggiamento di valutazione. In più oggi l’Italia ha bisogno di tanta novità. Le coppie italiane non fanno figli, c’è una forte denatalità. I migranti vengono a supplire il vuoto demografico di domani. Bisogna anche rendersi conto che le persone fuggono dalla distruzione, dai conflitti. E non ci sono solo le guerre con le armi: c’è anche la guerra della siccità, della desertificazione, della miseria. Chi può scappa verso altre situazioni per trovare un benessere. Ricordiamo poi quante famiglie oggi usufruiscono di badanti dell’Est per gli anziani e i bambini. O certi tipi di lavoro che gli italiani non vogliono più fare, come la pastorizia o l’artigianato o il lavoro nelle fonderie e nelle concerie. Certo, come ogni fenomeno nuovo va mediato, preparato, governato e messo in situazione. La Cei sta portano avanti un progetto anche per chi vuole rimanere nel proprio Paese o tornare a casa. Perché da queste nazioni vanno via i migliori, quelli che possono affrontare una situazione così grande, spendendo un’enormità di soldi e affrontando gravissimi pericoli. La migrazione non è una passeggiata. Si affidano i figli alle onde del mare perché sono più sicure della terraferma. È una realtà nuova di fronte alla quale non si possono chiudere gli occhi e dire: “Ce ne stiamo per conto nostro”. Questo vorrebbe dire diventare una nazione che tra 50 anni non avrà più nulla.
L’obiezione più diffusa contro lo “ius soli” è l’idea di voler conservare a tutti i costi l’identità italiana contro quella che chiamano una “invasione”.
Dalle migrazioni del passato sono sempre nate realtà nuove. Non dimentichiamo che dopo il crollo dell’impero romano e le invasioni barbariche è nato il Medioevo che ha prodotto tanta grandezza nelle nazioni europee, a cominciare dall’Italia. Non dimentichiamo che nazioni grandi come gli Stati Uniti e l’Australia si sono formate dall’insieme dei popoli europei. È chiaro, sono fenomeni che possono avere anche delle conseguenze negative – nessuna realtà può essere perfetta a priori – ma bisogna prevederle e governarle. Dobbiamo renderci conto che dall’insieme di tante popolazioni diverse può nascere davvero un mondo nuovo. Non è la fine del mondo è l’inizio di un mondo nuovo.
C’è poi la paura del terrorismo, di fenomeni di radicalizzazione, dell’islamizzazione del Paese.
Dipende da noi tenere fede alla nostra realtà, alla nostra religione, ai nostri valori fondamentali. È chiaro che chi viene deve accettare le regole della nostra società. C’è il rispetto dei loro valori, ma devono anche accettare i nostri. Ora tutta questa invasione religiosa non c’è. Il pericolo terrorismo è stato in Francia, Germania, Inghilterra, dove si erano creati dei luoghi che sono diventati dei ghetti chiusi. L’integrazione diventa perciò importante per non correre questo pericolo. Nelle scuole italiane funziona bene. A Roma ci sono ragazzi di origine africana o cinese che parlano romanesco come quando ero bambino nel mio quartiere, al Prenestino! Bisogna governare i fenomeni e non avere unicamente paura. È chiaro che ci possono essere lati positivi e negativi. Allora bisogna saper intervenire per governare le situazioni. (Patrizia Caiffa)
19 giugno 2017