La chiesa Usa a Trump: confini sicuri e umanità per chi fugge

Diverse le reazioni al messaggio alla nazione del presidente americano sulla questione dei migranti alla frontiera. «Non sono numeri ma stranieri e prossimo che le nostre Scritture ci chiedono di accogliere»

Verteva in buona parte sulla «crisi umanitaria e di sicurezza nazionale» che esiste al confine con il Messico il discorso rivolto dal presidente Usa Donald Trump alla nazione lo scorso 8 gennaio. Discorso nel quale Trump ha attaccato i migranti centroamericani che cercano di entrare nel Paese affermando che il confine meridionale è una strada attraverso la quale entrano le droghe illegali, il che causerebbe più morti che «tutta la guerra del Vietnam». Di qui la proposta di creare un muro al confine con il Messico per  fermare il traffico di droga.

Molte le reazioni suscitate dalle parole del presidente statunitense. Tra queste, quella del cardinale Joseph William Tobin, redentorista, arcivescovo di Newark: «Ho ascoltato con profonda delusione le parole disumane usate per descrivere i nostri fratelli e sorelle immigrati – afferma in una dichiarazione riproposta anche dall’Agenzia Fides -. Questi uomini, donne e bambini non sono né numeri né statistiche criminali ma persone in carne e ossa con le loro proprie esperienze e storie. La maggior parte di loro – prosegue il cardinale – fugge dalla miseria umana e dalla violenza brutale che minaccia la loro vita. Immagini false e spaventose cercano di provocare una specie di amnesia, per far sì che questa grande nazione giunga a negare le sue radici che si trovano negli immigrati e nei rifugiati».

L’arcivescovo di Newark cita quindi le parole pronunciate da Papa Francesco nella conferenza sull’immigrazione internazionale del giugno scorso per ribadire che «dobbiamo smettere di considerare gli altri come minacce alle nostre comodità per valutarli come persone la cui esperienza e valori di vita possono contribuire notevolmente all’arricchimento della nostra società». Quindi osserva: «Coloro che raggiungono i nostri confini in cerca di asilo o sfuggono a una terribile povertà non sono numeri in un dibattito politico ma sono stranieri e prossimo che le nostre Scritture ci chiedono costantemente di accogliere. Come Pastore del popolo di Dio nel nord del New Jersey, chiedo a tutti i nostri leader legislativi di unirsi per il bene comune. Che lavorino, nonostante  le differenze, per il bene di tutti. Queste vite dipendono letteralmente da questo».

Anche il vescovo di Austin (Texas) Joseph Vásquez, presidente della Commissione per le migrazioni della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, nella sua dichiarazione di ieri, giovedì 10 gennaio, chiede al presidente e ai leader del Congresso di trovare una soluzione per la situazione della frontiera. «I confini sicuri e il trattare umanamente quanti fuggono dalla persecuzione e cercano una vita migliore non si escludono a vicenda – assicura il presule -. Gli Stati Uniti possono garantire entrambi, e devono farlo senza incutere paura o seminare odio. Continueremo a sostenere la riforma dell’immigrazione per far progredire il bene comune e affrontare questi problemi».

Da monsignor Vásquez arriva anche un’esortazione ai legislatori a «guardare oltre la retorica» e a «ricordare la dignità umana che Dio nostro Padre ha dato a ciascuno di noi semplicemente perché siamo tutti suoi figli». Ancora, il presidente della Commissione per le migrazioni auspica che Trump e i leader del Congresso si riuniscano per «mettere fine al blocco con una soluzione che riconosca la dignità del lavoro dei dipendenti interessati, rispetti l’umanità di tutti, indipendentemente dallo status di immigrazione, e protegga la santità della vita umana».

11 gennaio 2019