La domanda sulla scelta giusta: il “Paradiso” aiuta la risposta
Il dialogo con gli studenti sulle difficoltà e i dubbi rispetto alle decisioni importanti della propria vita. E il discrimine che arriva da Dante: l’amore che rende semplice il difficile
«Ma come si fa a scegliere, insomma, come si fa a capire che si sta facendo la scelta giusta?». Così mi ha messo alla prova una studentessa del quinto anno, durante un intervallo tra la seconda e la terza ora di martedì della scorsa settimana. Avevamo appena finito l’ultima lezione sul tema della partecipazione politica nella letteratura, ma lei non si stava riferendo a quello. Come spesso accade in questo periodo, l’esame alle porte, le ultime verifiche, l’essere tra adulti – ché negli ultimi giorni del quinto anno, a un certo punto capita questa cosa bella e importante che l’insegnate si ritrova, da ragazzine e ragazzini che erano, tra donne e uomini di diciannove anni -, e così tra i banchi avevamo iniziato a parlare. A un certo punto deve essere venuto fuori il mio inizio da insegnante, il racconto breve del momento in cui capii di volerlo fare, ma anche la concomitanza dell’arrivo del mio primo figlio che oggi, ventenne, ha un anno più di lei.
Deve essere stato questo ultimo dato a suscitare la domanda della mia studentessa. Per me che da sempre condivido poco o niente della mia vita privata in classe, che mi sforzo da sempre affinché la nostra relazione si incardini sul terreno stabile e fertile delle parole, dei testi, degli autori che studiamo, è stato subito chiaro come in quel momento il dato personale fosse entrato in risonanza con il periodo che lei sta vivendo. L’esame, la scelta del dopo, cosa fare da grande, il dubbio, l’incertezza, la ricerca di una conferma, magari quella di un insegnante che sapesse la formula che le aprisse il mondo.
Perché la domanda, seria, importante, poi era questa: «Ma lei, come ha fatto a scegliere, e soprattutto, se ha fatto le scelte giuste, come l’ha capito poi?». Non ho voluto sottrarmi, ma ho saputo rispondere solo in due momenti distinti. Lì per lì, mi sono limitato a dirle che per esperienza e a fronte di una vita passata tra incertezze e dubbi su tutto, mi pare che le scelte importanti, quelle che contano, sappiano sempre a un certo punto mostrarsi nitide, al netto poi dell’atto di essere portate a fondo: «Sta a te poi andare in una direzione o meno, ma se si è un po’ onesti, ti sorprenderò, mi viene da dire che sono semplici da capire anche se non sono mai facili». Va da sé che un secondo dopo già avevo percepito l’incompletezza di quella risposta, che si sarebbe potuta mutare in retorica, per quanto io la potessi ritenere onesta e vera.
C’ha pensato la letteratura a venirmi in soccorso, due giorni dopo, durante l’ultima lezione frontale con questa classe che ho avuto per quattro anni, prima del ripasso che in questi giorni abbiamo iniziato in vista dell’esame. Leggevo e commentavo Paradiso XXXIII e a un certo punto una delle terzine percepite come meno eclatanti, in quell’oltraggio mistico continuo che è quel canto, ha riaperto il discorso iniziato durante l’intervallo del martedì. Dante guarda quella luce e ci dice «che ‘l ben, ch’è del volere obietto, / tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella / è defettivo ciò ch’è lì perfetto». Ho guardato la ragazza e le ho detto che, rispetto alla domanda sullo scegliere e alla risposta che avevo solo parzialmente potuto dare, mancava come discrimine proprio questo elemento: l’amore, ciò che rende semplice il difficile, l’imperfetto perfetto.
18 maggio 2022