La migrazione, tra disinformazione e fake news
L’incontro promosso da Centro missionario e Ufficio Migrantes. L’arcivescovo Zuppi: «Le ostilità nascono dall’ignoranza verso le sofferenze di tanti Paesi nel mondo». La preghiera per padre Dall’Oglio
Le ostilità nei confronti del fenomeno migratorio nascono dalla disinformazione. Dall’ignoranza verso le crisi e le sofferenze di tanti Paesi nel mondo. Dalla mancata percezione del rapporto tra migrazione e luogo di provenienza. È quindi necessario far emergere lo stretto legame esistente tra migrazione e conflitti, migrazione e fame. Perché chi fugge dal proprio Paese scappa dalle guerre, dal sottosviluppo, dalla povertà e ha il solo scopo di garantire un futuro a se stesso e ai propri figli. Ne è convinto l’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi, già vescovo ausiliare di Roma dal 2012 al 2015. Sabato 9 febbraio con il giornalista di Avvenire Paolo Lambruschi è intervenuto sul tema “La questione dei migranti nelle relazioni internazionali”, incontro promosso dal Centro per la cooperazione missionaria tra le Chiese e dall’Ufficio Migrantes della diocesi di Roma svoltosi al Pontificio Seminario Romano Maggiore nell’ambito del ciclo di formazione e informazione missionaria 2018-2019, dal titolo “Convivenza tra i popoli e sicurezza”.
«Se fossimo persone serie – ha detto l’arcivescovo – dovremmo aprire un corridoio umanitario quotidiano per chi scappa dalla guerra» invece assistiamo a porte che «si chiudono scandalosamente» anche davanti a queste situazioni, dimenticandoci che «salvare chi sta in mezzo al mare non è una questione politica ma umanitaria». Da qui l’esigenza di spendersi per far comprendere che «l’immigrazione non è un rischio ma una opportunità da cogliere». Oggi, invece, per molti «non è una questione da maneggiare con cura ma da non maneggiare affatto». Zuppi ha ribadito che l’opinione pubblica è chiusa davanti ai problemi del mondo perché non li conosce. Non comprende in pieno le parole di Papa Francesco, il quale spesso ricorda che «oggi purtroppo siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi». Chi lavora quotidianamente con i migranti ha perciò il compito «di raccontare le loro storie – ha aggiunto l’arcivescovo -, altrimenti prevarranno gli stereotipi e i ciechi cliché». Ma anche di citare spesso la frase di Bergoglio perché «anche se a pezzi è sempre una guerra mondiale che riguarda anche noi».
Urge fare un «lavoro di memoria», ricordare a tutti che anche milioni di italiani sono emigrati all’estero nei momenti di grave crisi economica. Monsignor Zuppi ha invitato poi a non chiamarli genericamente migranti ma a dare loro un nome e per tutti ha scelto come esempio Jerry Essan Masslo, un rifugiato sudafricano assassinato a Villa Literno (Caserta) il 25 agosto 1989. La sua vicenda commosse l’opinione pubblica e portò ad una riforma della normativa per il riconoscimento dello status di rifugiato. Ha infine invitato i presenti a pregare per padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita romano rapito in Siria nel 2013. «Preghiamo affinché siano fondate le notizie diffuse dalla stampa secondo le quali sarebbe ancora vivo».
Paolo Lambruschi, capo della redazione degli Interni di Avvenire, esperto del fenomeno migratorio, ha ribadito che l’opinione pubblica «teme l’invasione dei migranti» ma il problema vero è rappresentato dalle «fake news, dalla disinformazione creata ad arte dalla politica. Non esiste un’invasione ma un’informazione strillata e ossessiva sul tema dei migranti. Sapendo che la questione genera consenso le frange politiche enfatizzano i conflitti». Ha ricordato che nei primi anni ’90 si temeva l’invasione degli albanesi, che oggi rappresentano la seconda comunità in Italia, e i rapporti tra Italia e Albania sono talmente stretti che la si può considerare una regione italiana. «Abbiamo davanti una politica che lavora sul tweet – ha concluso – ma i problemi restano. Bisogna ragionare».
Monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio Migrantes della diocesi di Roma, ha ringraziato i relatori per aver instillato «una sana inquietudine che nasce dal Vangelo e non da una scelta culturale. Torniamo a casa con l’idea che ognuno di noi può essere artigiano di pace e mediatore nei conflitti».
11 febbraio 2019