La preghiera per i cristiani in Medio Oriente, «martiri dei giorni nostri»
A San Marco evangelista la veglia ecumenica promossa da Acs. Il cardinale Piacenza: «Quanto accade in Iraq e Siria richiede lo sforzo di tutti per sostenere quanti sono afflitti e crocifissi»
I cristiani perseguitati in Medio Oriente sono «un esempio da seguire»: hanno il merito di testimoniare, anche con la vita, l’amore per Cristo e, innocenti come lui, tanti abitanti «dell’amata terra irachena sono morti in un sacrificio tanto doloroso quanto misterioso». Queste le parole del cardinale Mauro Piacenza, presidente internazionale della fondazione pontifica Aiuto alla Chiesa che soffre, nel corso della veglia di preghiera ecumenica per i cristiani in Medio Oriente che si è svolta ieri sera, mercoledì 27 settembre, nella basilica di san Marco evangelista al Campidoglio. Tanti i fedeli presenti in basilica, tra i quali Alfredo Mantovano e Alessandro Monteduro, rispettivamente presidente e direttore di Acs-Italia e Alessandro Monteduro, direttore ACS-Italia. Insieme hanno proclamato i salmi in varie lingue. Momento intenso quello della preghiera del Padre Nostro cantato in aramaico, la lingua di Gesù, dall’arcivescovo siro-ortodosso di Dayro d-Mor Matta della Chiesa di Antiochia, monsignor Timothaeus Mosa Alshamany.
Per l’occasione è stata posta ai piedi dell’altare una statua della Madonna di Fatima, alla quale la fondazione è stata consacrata una prima volta nel 1967; atto rinnovato due settimane fa dal cardinale Piacenza durante un pellegrinaggio al santuario portoghese. Alla Vergine, nel centenario delle apparizioni di Fatima, il porporato ha chiesto una particolare protezione per «il dramma umano della terra irachena». I cristiani in Medio Oriente, gli ha fatto eco il patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphael I Sako, sono «martiri dei giorni nostri» per i quali bisogna pregare incessantemente: perseguitati che bisogna sostenere affinché, ha affermato, conservino la speranza e la fede in Cristo. Ma soprattutto bisogna fare il possibile affinché i cristiani iracheni possano continuare a vivere nella loro terra d’origine. Si tratta di donne inermi, bambini innocenti, uomini, anziani e ammalati, «colpiti e uccisi, gravemente feriti nel corpo e, forse, ancor più nell’animo, umiliati semplicemente perché cristiani, appartenenti a Cristo», ha aggiunto il cardinale Piacenza.
Ricordando che essere cristiani significa anche immolarsi, il presidente internazionale di Aiuto alla Chiesa che soffre ha affermato che quanto accade da anni in Iraq e in Siria richiede lo sforzo di tutti per «sostenere, fasciare le ferite, consolare, provvedere alle necessità di coloro che, così gravemente, sono afflitti e crocifissi». Per il cardinale l’amore per il Risorto è l’unica ragione che spinge a lavorare «per aiutare i fratelli nella sofferenza, per aiutare la Chiesa a vivere nei luoghi nei quali sarebbe impossibile vivere, in un “ecumenismo della carità”, che diviene anche e sempre reale ecumenismo della fede, mai ideologico ma sempre profondamente radicato nella realtà e capace di cercare e dire la verità».
Alla serata di preghiera hanno preso parte anche il nunzio apostolico in Iraq e Giordania Martin Ortega, l’arcivescovo siro-cattolico di Mosul Yohanna Petros Mouche e il metropolita siro-ortodosso di Mosul, Nicodemus Daoud Matti Sharaf.
28 settembre 2017