La Terra Santa e la speranza della pace
A San Salvatore in Lauro, confronto tra il patriarca latino di Gerusalemme Pizzaballa e il ministro dell’Economia Giorgetti. Nelle parole del cardinale, il «clima di sfiducia sul futuro» e l’impegno per una pace da «inventare». A cominciare dal tessuto sociale
“La pace è possibile? La crisi del Medio Oriente”. Se ne è parlato ieri, 23 settembre, nella tavola rotonda che ha visto protagonisti il cardinale patriarca latino di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, moderati dal direttore editoriale del dicastero vaticano per la Comunicazione Andrea Tornielli, nel santuario di San Salvatore in Lauro, in occasione della festa liturgica di san Pio da Pietrelcina. «Un incontro di preghiera – ha ricordato il parroco, don Pietro Bongiovanni – per invocare pace sulla terra, nelle famiglie, nei cuori. È il presupposto di ogni altra condizione positiva nella società ma non si costruisce se Dio non abita i cuori».
C’è una speranza di pace per la Terra Santa? È stata la domanda intorno a cui è ruotata tutta la riflessione. E la risposta del cardinale è stata intrisa di sano realismo e di fiducia. Dopo aver ricordato che «le sanzioni colpiscono i poveri e non i ricchi, i potenti sono sempre al sicuro», il porporato è stato molto chiaro: «Bisogna intendersi: se si confonde la parola pace con una soluzione politica, non ha molto senso parlarne in questo momento. Entrambe le parti vogliono vincere, e la pace non è vittoria. Confondere le parole è uno dei grandi equivoci. La pace però è sempre possibile perché frutto di una scelta. Sono figlio di contadini che hanno bisogno di concretezza: che le due parti arrivino a un accordo in questo momento non penso sia possibile. La diplomazia non è in grado di fornire soluzioni. Ma la società non è composta solo da politica e diplomazia». Facendo riferimento alla presenza del nuovo capo dipartimento della Protezione civile Fabio Ciciliano e di tanti volontari, Pizzaballa ha ricordato che «ci sono tante realtà simili sui territori, anche in Terra Santa, con le quali si può fare la pace. La pace la devi inventare, creando occasioni che poco alla volta possono sostenere questo processo. Tante persone vogliono la pace, dobbiamo cercarle e metterle vicine, perché ci sarà bisogno di loro».
Pizzaballa ha sottolineato da un lato il forte impatto emotivo che quasi un anno di guerra ha suscitato nella popolazione palestinese, dall’altro la necessità di ricostruire non solo un territorio devastato ma soprattutto i cuori, compito molto più difficile: «Sono pochissimi i palestinesi che possono andare a lavorare e questo ha pesanti conseguenze, c’è un clima di sfiducia terribile». Prima dell’ignobile attacco terroristico di Hamas, «nessuno si aspettava una cosa simile. È stato uno choc per la popolazione israeliana che non si è sentita sicura a casa sua, un trauma incredibile, come lo è stato anche quello che è avvenuto e sta avvenendo a Gaza. E sulle prospettive politiche future c’è un clima di sfiducia». La difficoltà più grande sarà «ricostruire la pace nei cuori», quelli di chi vede morire i propri cari, e che «non si risolve con un finanziamento. L’odio, la sfiducia, il disprezzo sono il linguaggio comune, nei media, in tante forme. Riscostruire il tessuto sociale tra le parti sarà un percorso molto lungo. Un processo di guarigione che avrà bisogno prima di tutto di una volontà: in Terra Santa l’elemento religioso ha un peso politico, è uno dei motivi per cui l’accordo di Oslo è fallito».
Il patriarca ha ricordato che «le cose non cambiano da sole». Occorre qualcuno che, come i profeti biblici, abbia il coraggio «di orientare scelte in ambito religioso, politico, anche pagando un prezzo». Poi c’è il perdono: «Ora non è facile. Per noi cristiani è centrale ma se non lo sei e non hai fatto esperienza del perdono, è difficile. A livello personale ci sono meravigliose testimonianze ma a livello pubblico la dinamica è completamente diversa e servono testimoni capaci di portare a livello pubblico» il tema del perdono. «Noi cristiani dovremmo essere quelli più attrezzati, anche se siamo pochi, ma bisogna avere la capacità di guardare oltre la proprie ferite e aprirsi a qualcosa di più grande, soprattutto per chi verrà dopo».
Dal canto suo, Giorgetti ha ricordato che siamo in una «fase caratterizzata da crisi multiple che potrebbero collegarsi» ma «non possiamo arrenderci all’idea che la guerra sia inevitabile. Dobbiamo rigettare con forza le teorie alla moda come quelle che parlano di scontro di civiltà. Bisogna invece impegnarsi per un dialogo tra civiltà. La testimonianza concreta per la pace dei francescani della Custodia di Terra Santa e del patriarca dimostrano che il dialogo è possibile». Il ministro ha anche auspicato un’«autorità a livello globale, che stabilisca delle regole per l’uso degli strumenti» legati all’intelligenza artificiale, perché «la guerra cibernetica è la più pericolosa ma – ha riconosciuto – siamo molto lontani da questo».
24 settembre 2024