Migranti: accoglienza e integrazione, «due facce della stessa medaglia»
A parlare è il presidente del Centro Astalli padre Camillo Ripamonti, all’indomani dell’approvazione delle controverse misure inserite nel “decreto Sud” dal governo Meloni. «Divieti e punizioni non hanno funzionato negli ultimi 10 anni». Il rischio di «maggiore confusione»
Le immagini da Lampedusa occupano da giorni i Tg della sera. Migliaia di persone, spesso donne incinte e bambini, che arrivano su barchette di fortuna; ogni giorno un flusso importante che ha raggiunto al momento – dati del Viminale – la quota di 160mila arrivi. Numeri importanti, che segnalano che i flussi migratori stavano solo cercando nuove rotte ma che non si sono mai veramente fermati, al massimo rallentati dai lager libici o dalla pandemia, ma continuamente alimentati da povertà, guerra, carestie. La “scommessa” del governo italiano è che si possa fermare questo esodo con l’aumento della durata del trattenimento per i migranti in arrivo e l’istituzione di un Centro per i rimpatri in ogni regione. Romasette.it ne parla con padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati.
Com’è la situazione nel Centro Astalli, avete risentito dell’aumento dei flussi di queste settimane?
Noi in genere subiamo l’onda lunga degli sbarchi. Quello che vediamo è che da aprile le persone che si sono rivolte ai nostri servizi di base, mensa, servizi legali, farmacia sono aumentate anche del 30%. Cifra che non è esclusivamente collegata a un aumento dei flussi, ma anche al contesto socio-economico italiano e a un rientro parziale di migranti da Francia e Germania. Però i numeri sono certamente aumentati.
I recenti sbarchi riportano ai numeri del triennio 2015-2017 per quanto riguarda gli arrivi. Siamo di fronte a un fenomeno strutturale?
Si, esattamente. Se consideriamo l’interruzione dovuta agli accordi con la Libia e poi la pandemia che ha rallentato tutti i movimenti internazionali, se tracciamo una linea immaginaria vediamo che i numeri sarebbero stati questi anche in quel periodo, segno che al di là della contingenza sono queste le dimensioni del fenomeno. Tra il il 2015 e il 2017 ci eravamo attrezzati per affrontare quella situazione, poi abbiamo fatto, soprattutto con l’accordo con la Libia, un tentativo di tamponare questo fenomeno che però si è rivelato fallimentare. La crisi della Tunisia ha poi permesso uno “sfogo” di quei flussi da un’altra parte. Aver lasciato le politiche che avevamo implementato allora ci lascia oggi sorpresi rispetto a qualcosa che non può più essere definito emergenza.
Ecco, su questo punto il governo sembra aver scelto la mossa dell’arrocco: più muri, meno protezione internazionale, smantellamento dello Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Che ne pensa?
Se l’unica modalità di governo è punire i migranti che arrivano irregolarmente e bloccare le partenze, posto che poi le persone in qualche modo arrivano comunque, l’effetto sarà quello di maggiore confusione, e sarà chi si occupa dell’accoglienza e della gestione sul territorio che si troverà in difficoltà. L’effetto sarà quello di lasciare in un limbo indefinito le persone che arrivano.
Per quale ragione?
Credo che ci sia un non detto che ritengo sia il punto focale, cioè il considerare l’accoglienza e l’integrazione delle persone come due cose indipendenti tra loro e si ha l’idea che rendendo più difficile l’integrazione e riducendo l’accoglienza si risolva la questione. Si pensa che così si possa tamponare il fenomeno. Io penso invece che si debba andare nella direzione di maggiore cooperazione in mare nei salvataggi, evitando che si crei un imbuto che insiste su Lampedusa, distribuendo gli arrivi su tutto il Sud Italia e poi da lì redistribuirli su tutto il territorio nazionale iniziando immediatamente un percorso di accoglienza e integrazione. Guardi, le faccio un esempio.
Prego.
I richiedenti asilo non possono fare tutta una serie di cose che li aiuterebbero a integrarsi, come la scuola di lingua o i corsi per lavorare. Li si tiene in una sorta di attesa che però ormai dura anche due anni e mezzo, ma così non si fa il bene di queste persone che poi faranno sempre più fatica a trovare una loro collocazione nella nostra società. Tornare a considerare integrazione e accoglienza come due facce di una stessa medaglia è necessario per costruire un futuro di coesione nelle nostre città e ritornare ai salvataggi in mare, che non sono un pull factor per gli arrivi nel nostro Paese ma un modo per accogliere con umanità queste persone che arrivano. Divieti e punizioni non hanno funzionato in questi dieci anni. E poi anche la questione dei rimpatri: l’anno in cui ne sono stati fatti di più fu il 2017 con 17mila; ne arrivarono oltre 130mila. Negli altri anni la media è stata di tremila-cinquemila rimpatri all’anno. Anche fosse la soluzione, e non credo lo sia, non è evidentemente praticabile.
21 settembre 2023