Migranti e rimpatri: il governo decreta i Paesi sicuri per legge
L’allarme delle ong: «Diritti a rischio», nonostante la rimozione dall’elenco di Camerun, Colombia e Nigeria. «Non basta a evitare la non convalida dei fermi»
Approvato dal governo Meloni un nuovo decreto legge che rivede la lista dei Paesi considerati sicuri, dopo i problemi sorti con il protocollo con l’Albania. Rimossi dalla lista Camerun, Colombia e Nigeria. La lista – che scende quindi da 22 a 18 – comprende Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.
Secondo le organizzazioni, inserire la lista in un decreto legge potrebbe non essere sufficiente a evitare la non convalida dei fermi dei migranti da parte del Tribunale di Roma. Lo spiega Valeria Taurino, direttrice di Sos Mediterranèe Italia: «Questo nuovo decreto-legge non risolve il tema della definizione di Paese sicuro. Proprio il nodo centrale dell’impianto, cioè la creazione di discriminazioni tra naufraghi sulla base della provenienza (ma anche del sesso e dell’età), è in conflitto con quanto disposto dal diritto marittimo internazionale che invece impone un obbligo di soccorso, assistenza e tutela “indipendentemente dalla nazionalità o dalle circostanze delle persone in pericolo in mare».
Per Valentina Brinis, advocacy officer di Open Arms, «al di là del contenuto del decreto legge cosiddetto “Paesi sicuri”, che non ci trova d’accordo, quello che registriamo ancora una volta è la modalità di gestire il tema dell’immigrazione da parte dei membri del governo: sempre e solo come se ci fosse un avversario da battere. E ciò accade – prosegue – senza che le persone di cui ci si sta occupando siano considerate come tali. Solo corpi da bloccare e da punire in nome del rispetto sovrano delle frontiere. Gestire i flussi migratori in maniera scientifica vuol dire trovare un giusto equilibrio tra due aspetti fondamentali: la sicurezza e il rispetto dei diritti umani. Qui, invece, sembra che la bilancia penda solo da una parte. Un modo che noi suggeriamo da anni per rimettere in asse il tutto è quello di investire in canali umanitari sicuri, nella politica dei visti e nella costruzione (dove possibile) di condizioni migliori nei paesi di origine. È faticoso e forse non porta consensi nell’immediato, ma è l’unica via possibile», conclude.
24 ottobre 2024