Milena Vukotic: «La cultura viene ignorata»

L’attrice romana: «Nessuno se ne occupa». I ricordi? Registi come Buñuel, Tarkovskij e Scola. Lavorare con Fellini: «La realizzazione di un sogno»

Ormai da oltre due mesi ciascuno di noi si è dovuto riposizionare all’interno di una scommessa giornaliera con gli orari, le cose da fare, da inventare, da gestire. Cerchiamo ancora, dentro una situazione che richiede molto controllo, interlocutori equilibrati per sollecitare la loro opinione. Milena Vukotic è certo tra quelli che possono aiutarci a capire come si supera questo momento difficile e complicato. L’abbiamo raggiunta con alcune domande alle quali ha risposto con la consueta eleganza. Romana, attrice a tutto tondo, vincitrice di un Nastro d’argento e più volte candidata ai David, in prima fila dagli anni Sessanta tra teatro, cinema e televisione, ha segnato alcune tappe memorabili nella storia dello spettacolo italiano.

Signora Vukotic, nei personaggi interpretati ha dato volto ai tanti cambiamenti sociali e culturali del nostro Paese. Dal suo punto di vista, quale immagine ritiene che cinema e televisione abbiano offerto dell’Italia?

Io sono arrivata a Roma nel 1960 da Parigi dove studiavo danza, dopo aver visto “La strada”, che devo dire ha segnato in me un cambiamento profondo. Ottenni una borsa di studio e cominciai a lavorare in Rai. Ho fatto “Il giornalino di Gianburrasca” con Lina Wertmuller, e poi tanti “generi”, leggeri e drammatici. Tanti incontri con vari personaggi, ricordo “L’amico libro”. Al cinema ho avuto la fortuna di lavorare in tre film di Luis Buñuel tra il 1972 e il 1977; poi con Andrej Tarkovskij, con Bolognini, Scola, Monicelli. Il cinema è stato il veicolo per dare la giusta immagine internazionale dell’Italia.

Nell’anno del centenario di Federico Fellini, qual è il suo ricordo del regista riminese?

Fellini ha voluto dire per me una svolta di vita, dopo tre anni di tournée teatrali. Ho lavorato con Federico in tre occasioni, in “Giulietta degli spiriti” (1965), “Boccaccio ’70” (ep. “Le tentazioni del dott. Antonio”, 1962) e “Tre passi nel delirio” (ep. “Toby Dammit”, 1968). Fellini, a mio parere, non è solo un regista importante ma il più grande artista del secolo scorso. Ho sempre desiderato incontrarlo ed essere con lui nei suoi film è stata la realizzazione di un sogno.

Da Fellini a Fantozzi, nella saga con protagonista Paolo Villaggio, dove lei è Pina, la moglie fedele e innamorata, la distanza forse è meno forte di quanto si potrebbe pensare…

Nel nostro lavoro, noi attori indossiamo delle maschere. Diamo vita ad un grande gioco che ci fa cambiare il mondo. Abbiamo inevitabili metamorfosi. Per interpretare Pina ho incontrato Villaggio, mi ha avvertito che lui e i personaggi intorno a lui dovevano comportarsi come cartoni animati. Io mi sono accostata così a Pina, e le sono rimasta affezionata.

Quali altri personaggi ricorda ?

Quello interpretato in “Bianco Rosso e Verdone”, perché con Carlo ho avuto la possibilità di variare molto. Mi proponevano figure femminili semplici, un po’ patetiche sulla scia di Pina, e con Verdone sono riuscita a disfarmi di quello schema.

Di Franco Zeffirelli che ricordo ha?

Al cinema ho fatto con lui “La bisbetica domata” (1967), e a teatro ricordo una sua regia di “Black comedy”, un testo di Peter Shaffer, dove ho recitato con Giancarlo Giannini, Anna Maria Guarnieri. Zeffirelli mi è rimasto nel cuore, un uomo di cultura che ho molto amato per tutto quello di bello e importante che ha fatto per il cinema e il teatro in Italia e nel mondo.

Quali riflessioni le suggerisce questo tempo di cinema e teatri chiusi e di crisi del settore? Cosa vorrebbe indicare per aiutare il comparto dello spettacolo? E lei come trascorre questo tempo “sospeso” dell’assenza di attività?

Ho fatto in tempo, prima della chiusura, a girare a gennaio  “Selfimania”, un film in 5 episodi diretto da vari registi internazionali. Il mio, quello italiano, con la regia di Elisabetta Pellini, deve ancora essere montato. A dicembre ho lavorato nel film “Fellinet”, un sogno sul circo, una favola muta con personaggi surreali. A dirigere c’è Francesca Fabbri Fellini, nipote del regista alla sua opera prima. Da due mesi, come tutti, non esco, ma mi chiedo una cosa: perché anche in questa occasione la cultura italiana arriva per ultima? Certo la salute è importante, mi sembra però inconcepibile che tutto il settore sia lasciato fuori, non se ne occupa nessuno. Tecnici di alto livello e professionalità sono letteralmente senza lavoro. In questo Paese cinema, teatro, danza, musica sono sempre stati in prima fila, perché ora sono ignorati? “La bellezza salverà il mondo” è una frase di cui va ritrovato lo spirito. Non so di preciso cosa, ma inventiamo qualcosa per far tornare le gente a teatro e al cinema. Lo sport sì, l’arte no. Qualcosa non torna, come è possibile?

11 maggio 2020