Minori: il 12% in povertà assoluta, il triplo del 2005
Presentato il secondo Rapporto nazionale sulla povertà educativa minori a cura di Openpolis-Con i Bambini. Scende la spesa per l’istruzione
Sono i minori i più colpiti dalla povertà assoluta in Italia. Se nel 2005 era assolutamente povero il 3,9% dei minori di 18 anni, un decennio dopo la percentuale di bambini e adolescenti in povertà è triplicata, e attualmente supera il 12%. A dirlo è il secondo Rapporto sulla povertà educativa minorile di Openpolis e Con i Bambini, presentato oggi, 10 aprile, a Roma, che contribuisce ad accendere ancora di più i riflettori su questa tematica e a evidenziarne l’impatto in maniera ancora più dettagliata. «Si è allargato il divario tra le generazioni – si legge nel rapporto – . Nell’Italia di oggi più una persona è giovane, più è probabile che si trovi in povertà assoluta. L’Italia ha quindi un enorme problema con la povertà minorile e giovanile da affrontare. E non riguarda solo la condizione economica attuale. Riguarda soprattutto il futuro, la possibilità, anche per chi nasce in una famiglia povera, di avere a disposizione gli strumenti per sottrarsi da adulto alla marginalità sociale».
Il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile «è uno degli strumenti più innovativi nel campo della lotta alla povertà attivi nel nostro Paese – ha spiegato a margine dell’incontro Giuseppe Guzzetti presidente di Acri -. È nato grazie a un accordo fra Fondazioni di origine bancaria, governo e Forum nazionale del Terzo settore. Coinvolge l’intera comunità educante: scuola, terzo settore, enti locali e famiglie e sta attivando le migliori energie del Paese nello sforzo comune per combattere un’emergenza che deve essere una priorità di un paese civile». Dal report emerge che l’incidenza della povertà assoluta è più che doppia nei nuclei familiari dove la persona di riferimento non ha il diploma. Contrastare la povertà nella fascia più giovane della popolazione significa offrire concretamente a tutti i bambini e gli adolescenti, a prescindere dal reddito dei genitori, uguali opportunità educative. Infatti, rispetto alla media europea, l’Italia tende a investire meno in istruzione.
«Con il secondo rapporto sulla povertà educativa minorile in Italia, abbiamo voluto focalizzare l’attenzione sulla presenza e accessibilità dei servizi per i minori nel nostro Paese. Il lavoro dell’Osservatorio Openpolis-Con i Bambini è molto importante per due ordini di motivi – ha spiegato Carlo Borgomeo, presidente dell’impresa sociale Con i Bambini. Da una parte la conoscenza sempre più approfondita e puntuale del fenomeno della povertà educativa è indispensabile per orientare le attività promosse dal Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, dall’altra contribuisce in modo decisivo all’azione di advocacy, che resta un obiettivo centrale della nostra iniziativa. Aggredire in modo puntuale e organico il fenomeno della povertà educativa minorile, non riguarda solo la sfera dei diritti, seppur importante, ma anche il tema dello sviluppo del Paese».
I numeri. Sono 1,2 milioni i bambini e gli adolescenti in povertà assoluta oggi in Italia. Il nostro paese tende a investire meno della media europea in istruzione. In rapporto al prodotto interno lordo, l’Italia spende il 3,9% del pil in istruzione, contro una media Ue del 4,7%. Un dato inferiore rispetto ai maggiori paesi Ue come Francia (5,4%), Regno Unito (4,7%), Germania (4,2%). Tra il 2009 e 2012 la spesa pubblica italiana in educazione è passata da oltre 70 miliardi annui a circa 65, cifra su cui si è assestata negli anni successivi. Nello stesso periodo, in Francia è cresciuta da 107 miliardi annui a circa 120; la Germania ha aumentato la spesa in educazione da 100 miliardi a oltre 132. Questi dati non sono un indice della qualità del sistema educativo, ma segnalano comunque scelte diverse da parte dei decisori. Per quanto riguarda la presenza degli asili nido, dal report emerge che l’Italia resta ancora lontana dall’obiettivo europeo, per raggiungerlo mancano ancora dieci punti percentuali. Nella pratica quindi i posti sono ancora troppo pochi per parlare di un servizio educativo vero e proprio, che come tale punta ad accogliere un numero esteso di minori. Così, mentre nella fascia di età 3-5 anni il nostro paese ha superato la soglia del 90% di bambini accolti nelle strutture dedicate (le scuole per l’infanzia), in quella tra 0 e 2 anni l’offerta è ancora esigua. Il servizio è necessariamente rimesso alle possibilità della singola famiglia o all’offerta effettivamente presente sul territorio.
Pochi posti nelle regioni del sud. L’offerta di posti nei servizi prima infanzia, considerando insieme sia gli asili nido che i servizi integrativi, risulta fortemente squilibrata tra le diverse regioni italiane. Comprendendo il totale di questi servizi, si va dal 42,3% della Valle d’Aosta al 6,6% della Campania. Ai vertici della classifica spiccano le regioni del centro-nord. Superano infatti l’obiettivo europeo del 33% la Valle d’Aosta e tre regioni dell’Italia centrale: Umbria, Emilia Romagna e Toscana. Le regioni del nord, il Lazio e la Sardegna, offrono un posto ogni 4 bambini con meno di 3 anni. La Sardegna è l’unica regione del mezzogiorno a superare la media italiana del 23%. Per tutte le altre infatti il dato nazionale è uno spartiacque. Se ancora Abruzzo e Molise si attestano su circa un posto ogni 5 bambini residenti, le altre non raggiungono nemmeno il 15%. Le grandi regioni meridionali occupano gli ultimi posti della classifica: Puglia, Calabria, Sicilia, Campania. Sempre secondo il report, la presenza di minori è più elevata negli hinterland delle città e la popolazione con meno di 18 anni rappresenta il 16,2% dei residenti. La concentrazione di minori è più bassa agli opposti della classificazione: nei Comuni polo, in gran parte capoluoghi, e nei Comuni delle aree interne. Nei comuni periferici e ultraperiferici, la popolazione con meno di 18 anni arriva a malapena al 15%. Mentre la quota cresce fino al 17% nei comuni di cintura, ovvero gli agglomerati urbani attorno alle città maggiori, e nei poli intercomunali. Questi sono gruppi di Comuni limitrofi che, sebbene presi da soli non costituiscano un polo, complessivamente offrono un livello di servizi paragonabile a quello dei centri maggiori. La tendenza degli ultimi anni è che più un Comune è periferico, più si sta spopolando della sua popolazione giovane. A livello nazionale, nel 2015 i minori di 18 anni erano più di 10 milioni, oggi (2018) sono scesi 9,8 milioni: una contrazione del 2,9% (in termini assoluti ci sono quasi 300mila bambini e adolescenti in meno). Rispetto a un decremento generale, le aree interne stanno perdendo popolazione giovane a un ritmo più veloce rispetto agli altri Comuni.
10 aprile 2019