Padre Hamel martire. Becciu: «Un esempio. Ha donato totalmente se stesso»
Gli atti dell’inchiesta diocesana per la beatificazione del sacerdote ucciso nel 2016 consegnati alla Congregazione dall’arcivescovo di Rouen con 40 giovani
«È difficile dare un tempo perché il tempo dello studio e dell’esame non lo possiamo calcolare fin da adesso. Daremo una priorità, dal momento che è desiderio del Santo Padre che si faccia quanto prima. Però ha bisogno del suo tempo”. Con queste parole, il cardinale Giovanni Angelo Becciu, prefetto della Congregazione per le Cause dei santi, ha accolto le due copie degli atti dell’inchiesta diocesana per la beatificazione di padre Jacques Hamel. È il sacerdote anziano di 86 anni che fu sgozzato nell’estate del 2016 da due giovani terroristi, Adel Kermiche e Abdel Malik Petitjean, mentre celebrava la Messa a Saint-Etienne-du-Rouvray. A portare tutta la documentazione dell’inchiesta diocesana alla Congregazione vaticana è stato l’arcivescovo di Rouen Dominique Lebrun, accompagnato da un folto numero di giovani della diocesi, che nei giorni scorsi sono stati in pellegrinaggio ad Assisi.
L’inchiesta diocesana è stata aperta il 20 maggio 2017. Ha comportato 66 udienze, tra cui quelle dei cinque testimoni (tre religiose e una coppia di parrocchiani) presenti alla Messa durante la quale il sacerdote è stato ucciso. In una Messa celebrata a Casa Santa Marta, fu Papa Francesco a dire: «È un martire! E i martiri sono beati». L’apertura della causa di beatificazione ha avuto dunque un rapido via libera sia da parte della Congregazione sia dallo stesso pontefice e tale circostanza ha permesso di derogare alla regola canonica che impone un tempo di almeno cinque anni prima di aprire l’iter. Terminata l’inchiesta diocesana, tutta la documentazione sarà esaminata dalla Congregazione delle Cause dei santi e al termine del percorso arriverà a Papa Francesco. Padre Hamel, spiega il cardinale Becciu, «è stato preso in parola. Ha dato la vita a Gesù Cristo. Siamo tutti chiamati a dare la vita per Gesù Cristo, lui è stato preso in parola e ha subito la morte martiriale. Ha quindi donato totalmente se stesso a Dio, ha pagato il suo prezzo di fedeltà e rimane un esempio per noi chiamati tutti giorni a rimanere fedeli alla nostra vocazione al Vangelo, a Dio, alla Chiesa”»
La morte di padre Hamel è stata una tragedia che ha sconvolto l’opinione pubblica francese. A un anno dalla sua morte, il presidente della Repubblica Emmanuel Macron si è recato a Rouen per rendere omaggio all’anziano sacerdote. «Ringrazio la Chiesa di Francia – disse in quella occasione – per aver trovato nella fede e nelle preghiere il potere del perdono. Vi ringrazio per aver dato a tutta la Francia lo stesso esempio, per aver rifiutato questa sete di vendetta e di rappresaglia». Sui tempi di beatificazione, c’è molta attesa. «Padre Hamel – osserva l’arcivescovo Dominque Lebrun – è stato assassinato, quindi molti hanno detto che è martire. Il Papa stesso lo ha detto. Ci ha quindi dispensato dall’aspettare i cinque anni dalla morte per fare il processo perché sia ufficialmente riconosciuto come martire della Chiesa». L’arcivescovo ritiene che «sarebbe una buona cosa non fermarsi all’atto di violenza». La violenza e l’odio, spiega, «non sono il punto finale. È il Paradiso, il passaggio dopo». Significativo che a consegnare alla Congregazione per le Cause dei santi siano stati i giovani della diocesi, che al tempo della sua morte avevano 12/13 anni. Eppure «tutti oggi si ricordano il luogo in cui si trovavano quando è successo. Ammazzare un prete per loro è una cosa veramente inconcepibile. Il prete è per loro un uomo che dà la vita».
Ma chi era padre Hamel? «Era un uomo sconosciuto, anche nella mia diocesi», risponde monsignor Lebrun. «Era un sacerdote molto ordinario. Svolgeva il suo ministero in parrocchia ma non di più. Era già anziano. Veniva agli incontri diocesani ma non l’ho mai personalmente sentito parlare in queste occasioni. Ho avuto un contatto con lui molto importante dal quale ho capito che era un sacerdote che voleva servire fino alla fine. Quando è stato ammazzato, dopo le prime coltellate ricevute, ha detto: “Vattene satana, vattene satana”. Ha capito quindi che non erano i giovani, non erano i musulmani a ucciderlo ma il diavolo. È il diavolo che si è servito e si serve di persone». E sui tempi di beatificazione, dice: «Noi ora ci distacchiamo da questo processo. Abbiamo fatto la nostra parte. Adesso tocca al vescovo di Roma e ai suoi collaboratori». (M. Chiara Biagioni)
11 aprile 2019