“Baker Street”, l’alcolismo e il brano simbolo di Gerry Rafferty

Il brano del 1977, intitolato a una strada londinese, ha venduto oltre 5 milioni di copie. L’assolo del sassofono

Negli ultimi 10 anni l’alcol avrebbe provocato in Italia, direttamente o indirettamente, la morte di oltre 400mila persone. Stima riferita a decessi causati non solo da patologie sanitarie, ma anche da incidenti, omicidi e suicidi provocati dalla dipendenza da alcol. Secondo un recente rapporto, è la sostanza psicotropa che miete più vittime anche rispetto a fumo, droghe sintetiche e cocaina. E rappresenta il primo fattore di rischio per la salute in Europa, insieme al fumo e all’ipertensione. Sempre più giovani ne fanno uso, purtroppo iniziando a bere sempre più presto: più della metà dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni ha bevuto il primo bicchiere tra gli 11 e i 14 anni (52,8%). Un quadro drammatico.

L’alcol ha costellato la vita di non pochi artisti del rock – e non solo – ed è finito anche nei testi di numerose canzoni. Memorabile, soprattutto per l’attacco, un brano del 1977, che ha reso popolare il cantautore scozzese Gerry Rafferty, morto nel 2011 a 63 anni. Ovvero “Baker Street”, che capita ancora di ascoltare nelle nostre radio, a distanza di oltre quarant’anni, con quell’inconfondibile sassofono – a suonarlo è Raphael Ravenscroft, morto anche lui qualche anno fa – che interviene mirabilmente fra le strofe.

Il titolo fa riferimento alla strada londinese dove Rafferty fu ospite di un amico. Una strada – in pieno centro, nel distretto di Marylebone – che ha una storia alle spalle. Famosa per essere stata la via di residenza di Sherlock Holmes e per aver ospitato il primo Museo delle Cere di Madame Tussauds nel 1835.

“Baker Street” è un brano di grande successo, ha venduto oltre cinque milioni di copie ed è stato oggetto di tante cover, tra cui una perfino dell’Orchestra sinfonica di Londra. Il testo entra nel vivo del problema, ovvero di un dramma esistenziale, della solitudine e della disperazione, che Rafferty visse in prima persona.

«Barcollando giù per Baker Street / Luce nella testa e morte nei piedi» – la luce e la morte che si fronteggiano – «Bene, un altro giorno pazzo / Trascorrerai la notte bevendo / E dimenticherai tutto / Questa città deserta ti fa sentire così freddo / Ha così tanta gente ma non ha un’anima / E ci ha messo così tanto / A capire che sbagliavi / Quando pensavi tenesse tutto / Pensavi fosse facile / Dicevi che era facile / Ma ci stai provando, ci stai provando ora / Un altro anno e saresti felice / Solo un altro anno e saresti felice / Ma stai piangendo, stai piangendo ora».

Il tentativo disperato di uscire da quella condizione, una consapevolezza nuova – «ci stai provando» – e lo spiraglio di una luce. Con una scena di vita quotidiana in una casa londinese di Baker Street. «Lungo la strada c’è una luce in questo posto / Lui apre la porta, ha quell’espressione sul viso / E ti chiede dove sei stato / Tu gli dici chi hai visto / E parli del più e del meno / Lui sogna di comprare della terra / Ha intenzione di smettere con l’alcol e le avventure di una notte / E allora si sistemerà in qualche piccola città tranquilla / E dimenticherà tutto».

Sembra un finale pieno di speranza, di apertura al futuro, emerge però anche la contraddizione di una vita spesa negli eccessi, nella sregolatezza. «Ma tu sai che sarà sempre in movimento / Sai che non smetterà mai di muoversi / Perché lui è un vagabondo / E quando ti svegli, è un nuovo giorno / Il sole splende, è un nuovo giorno / Ma stai andando, stai andando a casa». Due “ma” nel finale del brano. La fatica di uscire da una vita che sembra un inferno, con quel suono del sassofono che appare come un grido di aiuto lancinante.

 

20 novembre 2018