Cure palliative, strumento per dare qualità della vita

Il convegno organizzato da Gemelli e Villa Speranza, a 10 anni dal varo della legge del settore. Una rete della asl Roma1. La collaborazione con i medici di famiglia

Etimologicamente richiamano il mantello di lana indossato dagli antichi greci ma anche, per estensione, la pecora che il pastore prende sulle spalle, come nella Scrittura, e per questo lo scopo delle cure palliative è primariamente «la presa in carico della persona malata giudicata inguaribile», non della patologia. È quanto è stato ribadito sabato 13 aprile in occasione del convegno “La rete di cure palliative nella asl Roma 1” organizzato dal Gemelli Medical Center-Università Cattolica del Sacro Cuore unitamente all’hospice Villa Speranza, nella Casa per ferie Don Orione, a via della Camilluccia.

«A quasi 10 anni dalla legge 38 che norma il settore e garantisce un’assistenza qualificata e appropriata – ha spiegato Paolo Favari, direttore generale del Gemelli medical center -, c’è bisogno di informazione e formazione in merito perché ancora si associa il tema delle cure palliative alla morte mentre sono strumento per dare una qualità di vita al paziente e ai suoi cari». Obiettivo della giornata di studio, quindi, «formare soprattutto i giovani medici – ha chiosato – a comprendere che se anche non possiamo guarire dobbiamo continuare a prenderci cura, pur senza cadere nell’errore di fare troppo perché fare di più non sempre significa fare meglio». In particolare è stata presentata la rete per le cure palliative dell’Asl Roma 1 che «garantisce continuità assistenziale per i malati, non solo oncologici ma anche affetti da patologie cronico-degenerative – ha evidenziato Francesco Scarcella, responsabile scientifico del meeting -, tra strutture sanitarie, ospedaliere e territoriali».

Un’attenzione speciale è stata dedicata a due elementi di novità: la gestione della lista di attesa, «con la creazione di un unico centro di smistamento delle richieste di ricovero negli hospice», e «la volontà di iniziare un percorso di collaborazione con i medici di famiglia, attori fondamentali per una rete di cure palliative efficaci ed efficienti». Ne è convinto Renato Fanelli, responsabile dell’Unità di cure primarie alla Casa della salute Prati-Trionfale: «Come medici di base – ha affermato – abbiamo il dovere di accompagnare, non di delegare a colleghi specialisti, i pazienti che si accingono a compiere la traiettoria finale della vita», creando con i medici degli hospice una sinergia che si rivelerà necessaria nei prossimi anni: «Nel 2024, in Europa, saranno oltre 13 milioni i pazienti oncologici o affetti da patologie croniche-degenerative mentre nel 2050 oltre un terzo della popolazione avrà più di 60 anni».

Occorre dunque individuare un sistema di cura «più precoce nel suo intervento al malato oncologico inguaribile o affetto da patologia cronico-degenerativa – ha evidenziato Christian Barillaro, geriatra del Policlinico Agostino Gemelli -, capace di produrre un reale miglioramento dei sintomi e una maggiore qualità di vita per il paziente e la sua famiglia: le buone cure palliative devono essere un esercizio di anticipazione, non la gestione di un’emergenza». In questa direzione si pongono le “simultaneous care”, ossia «un modello di cure integrate – ha illustrato Antonio Astone, oncologo dell’ospedale San Pietro – che vanno a colmare il gap tra la fine delle cure attive e l’avvio di quelle palliative» che, invece, «devono coesistere nell’ottica di un approccio palliativo precoce». In particolare, «occorre tenere conto soprattutto dello stato emotivo del paziente – ha aggiunto -, la più grande paura è quella dell’abbandono: per questo va pensato, insieme, un accompagnamento verso la buona morte, quella sopportabile e condivisibile da paziente e familiari».

15 aprile 2019