Francesco ha aperto la Porta Santa anche nel carcere di Rebibbia
È la prima volta, in un Giubileo ordinario. «La prima l’ho aperta a Natale a San Pietro ma ho voluto che la seconda fosse qui. Sia per tutti un impegno a guardare al nostro avvenire con speranza».
Mentre fuori era ancora buio e Roma dormiva, l’attività all’interno del nuovo complesso di Rebibbia era già frenetica alle 6.30 di questa mattina, 26 dicembre. Per la prima volta in un Giubileo ordinario, una Porta Santa è stata aperta all’interno di un carcere. Nel giorno in cui la chiesa ricorda santo Stefano, il primo martire, Papa Francesco ha presieduto il rito nella cappella del carcere romano dedicata al Padre Nostro. Il pontefice, accostandosi alla Porta, ha ricordato: «La prima l’ho aperta a Natale a San Pietro ma ho voluto che la seconda fosse qui, in un carcere perché tutti, chi è dentro e chi è fuori, avessero la possibilità di spalancare le porte del cuore. Sia per tutti un impegno a guardare al nostro avvenire con speranza». Già nella bolla di indizione del Giubileo, “Spes non confundit”, Francesco aveva espresso il desiderio di farsi pellegrino di speranza in un luogo di reclusione.
Bergoglio si è avvicinato alla Porta, ornata con fiori bianchi, e, come prevede il rito, l’ha oltrepassata per primo, seguito dal vescovo Benoni Ambarus, ausiliare di Roma, incaricato per l’ambito della Diaconia della carità, da alcuni detenuti e agenti della polizia penitenziaria. Durante la breve omelia, tenuta completamente a braccio, ha ribadito che «aprire la porta significa aprire il cuore, ed è questo che fa la fratellanza. I cuori chiusi non aiutano a vivere, sono duri come pietre e si dimenticano della tenerezza. La grazia del Giubileo è quella di aprire i cuori alla speranza che non delude mai».
Il Papa ha quindi affermato che «quando si vive un momento brutto si pensa che tutto sia finito. Ma non è così». Ha usato l’immagine dell’ancora legata a una corda e ben salda a riva: «La speranza è come quell’ancora. Dobbiamo rimanere aggrappati alla corda senza mai lasciarla», ha detto ai detenuti assicurando loro le sue preghiere e augurando loro un buon Giubileo.
Francesco è arrivato a Rebibbia con venti minuti di anticipo rispetto al programma. Ad accoglierlo, mentre la banda della polizia penitenziaria intonava l’inno del Giubileo, il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del dicastero per la Cultura e l’educazione, e Mariella Senatore, l’artista che ha realizzato l’opera “Io contengo moltitudini” installata davanti alla cappella. Si tratta di una sorta di albero di natale alto circa 6 metri e i cui rami sono composti da luminarie che riportano frasi in diverse lingue e dialetti.
Alla celebrazione hanno partecipato circa seicento persone. All’interno della cappella un centinaio di detenuti, tra i quali una ventina di donne e rappresentanti di altre carceri romane – coinvolti anche nel coro, nella processione offertoriale e nelle letture -, personale del penitenziario, volontari e autorità tra i quali il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il prefetto di Roma Lamberto Giannini e il capo del Dap Giovanni Russo. All’esterno della cappella altre 300 persone hanno seguito la Messa dai maxischermi. Al termine della liturgia Francesco si è intrattenuto a lungo salutando i detenuti e scambiando con loro qualche parola. Mentre lasciava la casa circondariale ha salutato chi si era radunato lungo il tragitto.
I detenuti del Nuovo Complesso hanno donato al pontefice la riproduzione in miniatura della porta della Chiesa del Padre Nostro, creata all’interno del laboratorio “Metamorfosi” utilizzando i legni dei barconi dei migranti; le donne di Rebibbia un cesto contenente olio, biscotti, ceramiche e bavaglini, frutto del loro lavoro. L’amministrazione penitenziaria ha donato un dipinto del Cristo salvifico realizzato dall’artista Elio Lucente, ex poliziotto penitenziario. Il Papa ha donato una pergamena con un messaggio di speranza letta dal proprefetto del dicastero per l’Evangelizzazione dei popoli Rino Fisichella. Il vescovo Ambarus ha spiegato che tutto «è partito proprio dalle domande dei detenuti che si chiedevano cosa ci fosse di speciale per loro per il Giubileo. Per loro è una giornata importante». Tra i volontari, Paolo Impagliazzo il quale ha spiegato che «la Comunità di Sant’Egidio organizza da anni incontri settimanali, la “Scuola del Vangelo”. Ci siamo tanto preparati per questa giornata. Consapevoli del reato commesso, i detenuti chiedono che questo non li segni per tutta la vita e sperano in un futuro migliore».
26 dicembre 2024