Francesco: «Misericordia è il palpito del cuore di Dio»

In piazza San Pietro la Messa nella seconda domenica di Pasqua, detta della Divina Misericordia: «Il Signore non decide mai di separarsi da noi, siamo noi che lo lasciamo fuori»

Nelle piaghe di Gesù il cristiano può vedere il Risorto e sperimentare il suo amore smisurato per l’uomo il quale non deve vergognarsi del suo peccato né cedere alla rassegnazione ma farsi abbracciare da Dio, sempre pronto a perdonare. «Il vero dramma è quando non ci si vergogna più di niente. Non abbiamo paura di provare vergogna. Passiamo dalla vergogna al perdono». Papa Francesco lo ha rimarcato ieri, 8 aprile, durante la Messa celebrata in piazza San Pietro nella seconda domenica di Pasqua, detta in Albis o della Divina Misericordia, festa istituita da San Giovanni Paolo II il 30 aprile 2000 in occasione della canonizzazione di suor Faustina Kowalska, religiosa polacca apostola della Divina Misericordia.

Davanti a cinquantamila fedeli Bergoglio ha ribadito che la misericordia del Signore «non è una sua qualità tra le altre, ma il palpito del suo stesso cuore». Con il Santo Padre hanno concelebrato 60 tra cardinali e vescovi e 550 missionari della misericordia, giunti da tutto il mondo per partecipare al secondo incontro organizzato per loro, dall’8 all’11 aprile, dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Questi sacerdoti, nominati esclusivamente dal Papa in occasione del Giubileo straordinario di due anni fa, sono complessivamente 897, hanno la facoltà di assolvere anche i peccati solitamente riservati alla Sede Apostolica e la loro funzione è stata prorogata dallo stesso Bergoglio il quale domani, martedì 10 aprile, li riceverà nella Sala Regia del Palazzo Apostolico prima di celebrare con tutti loro la Messa nella basilica di San Pietro.

Durante l’omelia Francesco ha ricordato che per sperimentare l’amore di Dio non bisogna rimanere chiusi in se stessi ma lasciarsi perdonare. Il fedele che spesso prova imbarazzo accostandosi al confessionale deve comprendere la vergogna e «vederla non come una porta chiusa, ma come il primo passo dell’incontro. Quando proviamo vergogna, dobbiamo essere grati: vuol dire che non accettiamo il male, e questo è buono». Per toccare l’amore di Dio bisogna superare altre due porte chiuse, quella della rassegnazione che si prova quando si cade sempre negli stessi peccati e quella «a volte blindata del nostro peccato. Quando commetto un peccato grande, se io, in tutta onestà, non voglio perdonarmi, perché dovrà farlo Dio? – ha detto il Papa -. Questa porta, però, è serrata solo da parte nostra, per Dio non è mai invalicabile, Lui ama entrare proprio “a porte chiuse”, quando ogni varco sembra sbarrato. Egli non decide mai di separarsi da noi, siamo noi che lo lasciamo fuori».

Commentando il Vangelo del giorno tratto da Giovanni e relativo all’incredulità di Tommaso, Jorge Mario Bergoglio ha sottolineato che bisogna ringraziare l’apostolo perché non si è accontentato né di sentir dire dagli altri che Gesù era risorto né di vederlo in carne e ossa, «ma ha voluto vedere “dentro”, toccare con mano le sue piaghe, i segni del suo amore». Il cristiano può vedere Gesù attraverso le sue piaghe esattamente come gli apostoli che in quel momento compresero «che non li amava per scherzo e che li perdonava, nonostante tra loro ci fosse chi l’aveva rinnegato e chi l’aveva abbandonato. Possiamo ritenerci e dirci cristiani, parlare di tanti bei valori della fede, ma, come i discepoli, abbiamo bisogno di vedere Gesù toccando il suo amore».

Il Papa si è poi soffermato sull’aggettivo possessivo “mio” usato da Tommaso il quale, riconosciuto il Maestro, esclamò «Mio Signore, Mio Dio». «Dicendo “mio” – ha affermato – non profaniamo Dio, ma onoriamo la sua misericordia. Come Tommaso, non viviamo più da discepoli incerti, devoti ma titubanti; diventiamo anche noi veri innamorati del Signore. Non dobbiamo avere paura di questa parola: innamorati del Signore». Prima della recita del Regina Coeli Francesco ha rivolto un augurio ai fedeli della Chiese Orientali che ieri, secondo il calendario giuliano, hanno celebrato la Pasqua e un saluto speciale ai rom e ai sinti presenti in occasione della loro Giornata Internazionale, il “Romanò Dives”.

«Pregate per me e preghiamo insieme per i vostri fratelli rifugiati siriani» ha detto il Papa che prima della benedizione finale ha rivolto un accorato appello affinché cessi il conflitto in Siria dove i bombardamenti stanno causando decine di vittime e tante persone sono colpite dagli effetti di sostanze chimiche contenute nelle bombe. «Non c’è una guerra buona e una cattiva – ha affermato il Papa -. Niente può giustificare l’uso di tali strumenti di sterminio contro persone e popolazioni inermi. Preghiamo perché i responsabili politici e militari scelgano la via del negoziato, la sola che può portare a una pace che non sia quella della morte e della distruzione».

9 aprile 2018