Gaza: «Le autorità israeliane impediscono l’ingresso di aiuti fondamentali»
La denuncia di Oxfam, in un nuovo report: rifiutate bombole d’ossigeno, incubatrici per neonati, attrezzature sanitare per curare i feriti o contenere le epidemie
Beni “a duplice uso”. Vale a dire, beni civili con potenziale uso militare. Bombole d’ossigeno, incubatrici per neonati, attrezzature sanitarie per curare i feriti o impedire il dilagare di epidemie: è l’elenco dei beni indispensabili per la popolazione della Striscia di Gaza inviati da organizzazioni umanitarie di tutto il mondo, respinti dalle autorità israeliane e stoccati a soli 2,3 chilometri da Israele e a 40 chilometri da Gaza, in un magazzino ad Al Arish. A stilarlo è Oxfam, in un nuovo report, in cui denuncia «come gli aiuti rifiutati siano solo un esempio di come Israele abbia reso il sistema di risposta umanitaria a Gaza volutamente pericoloso o inefficace per salvare il maggior numero possibile di vite».
Milioni, ormai, gli sfollati allo stremo in tutta la Striscia. «Il governo israeliano sta venendo meno alle proprie responsabilità legali nei confronti della popolazione di Gaza in quanto Paese occupante, violando inoltre una delle disposizioni chiave della Corte internazionale di giustizia dell’Aia, secondo cui l’accesso agli aiuti umanitari ai civili deve essere garantito alla luce del rischio di genocidio nella Striscia – sottolinea Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia -. Siamo di fronte a una catastrofe umanitaria che Oxfam, come altre organizzazioni sul campo, cerca di fronteggiare nel modo più efficace possibile, date le enormi difficoltà del momento. I bisogni crescono esponenzialmente di giorno in giorno e se Israele non prenderà subito provvedimenti il numero di vittime causato anche da fame e epidemie potrebbe crescere ben oltre i 31 mila morti causati a oggi dalla guerra», avverte.
Nell’analisi di Pezzati, «il fatto che gli altri governi non stiano esercitando alcuna pressione su Israele, ma si siano limitati all’invio di aiuti del tutto insufficienti via mare o paracadutati dal cielo, la dice lunga su quanto sta accadendo. Le autorità israeliane – prosegue – non solo non facilitano lo sforzo umanitario internazionale, ma lo ostacolano attivamente, non prendendo tutte le misure necessarie per prevenire il genocidio che rischia di consumarsi a Gaza. Non importa se a Rafah oltre 1 milione e mezzo di sfollati rischiano di morire di fame e sete». Il portavoce di Oxfam Italia ricorda anche la recente visita compiuta con le organizzazioni umanitarie e i parlamentari italiani: «Abbiamo visto oltre 1.500 camion di aiuti bloccati al valico che porta a Gaza. È una situazione insostenibile. Siamo al collasso del sistema umanitario e solo il governo israeliano, che ne è responsabile, può porvi rimedio».
Lo conferma anche Celine Maayeh, portavoce di Juzoor, una delle organizzazioni partner di Oxfam. «La nostra organizzazione è stata sommersa di aiuti da tutto il mondo, ma è impossibile farli arrivare a Gaza – afferma -. Nel nord del Paese la situazione è disastrosa. Nell’ultimo mese si è registrato un allarmante aumento dei casi di malnutrizione tra i bambini, eppure l’unico cibo che l’équipe riesce a trovare per sfamare le persone che vivono in 45 rifugi sono solo verdure, perché il mercato interno è privo di tutto. C’è un’indiscutibile privazione di aiuti – prosegue -, del tutto intenzionale, che toglie ossigeno a qualunque iniziativa umanitaria, compresa la nostra».
Oxfam torna dunque a chiedere un cessate il fuoco immediato e incondizionato «per porre fine a massacri e sofferenze, per rimettere in marcia la macchina dell’aiuto internazionale. I gruppi armati palestinesi devono rilasciare senza condizioni gli ostaggi civili che detengono, gli sfollati devono poter tornare a casa in sicurezza», affermano dall’organizzazione. Pezzati non ha dubbi: «La comunità internazionale ha fallito sia con il popolo palestinese che con quello israeliano, ignorando le cause profonde di questo conflitto che dura da decenni. È chiaro che la forza militare non sarà mai la soluzione, contribuendo a intensificare i cicli di violenza», conclude.
19 marzo 2024