Il Covid, la guerra e la fatica di pensare ancora al “noi”
Il vescovo Ambarus, delegato per la carità, e suor Kidane, direttrice del Centro missionario diocesano, a confronto sul messaggio del Papa per la 56ª Giornata mondiale della pace. Il direttore Caritas Trincia: «Costruire sentieri di pace a partire dalla cura delle relazioni»
Cosa è rimasto dei sentimenti di fratellanza e unità che il mondo sembrava aver riscoperto durante i mesi bui della pandemia? Qual è la lezione imparata dal Covid? A tre anni di distanza bisogna constatare che è «tristemente accaduto qualcosa di grave e che alla prova dei fatti ci siamo dimenticati del “noi”, dell’insieme e dei fratelli», ha detto il vescovo ausiliare Benoni Ambarus, delegato per la carità, che ieri sera, 25 gennaio, con suor Elisa Kidane, direttrice del Centro missionario di Roma, ha riflettuto sul messaggio di Papa Francesco per la 56ª Giornata mondiale della pace dal tema “Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace”. Un appuntamento, svoltosi alla Cittadella della Carità – Santa Giacinta, promosso dalla Caritas diocesana che dal 2012 ogni gennaio, mese che la Chiesa dedica alla preghiera per la pace, organizza momenti di condivisione sui messaggi dei pontefici, come ha spiegato Andrea Guerrizio, dell’Area educazione, volontariato, cittadinanza attiva dell’organismo pastorale diocesano, facendo un breve excursus sugli ultimi documenti.
Durante l’incontro, al quale hanno partecipato molti giovani del servizio civile, il presule ha sottolineato che durante il Covid il mondo «aveva compreso che doveva occuparsi dei più fragili e dell’ambiente, ma quando è stato il momento di scegliere, per esempio sui vaccini, l’emisfero ricco del mondo ha dimenticato i più poveri, calpestando la dignità dell’uomo». Per Ambarus, l’altra lezione non imparata, «peggiore del Covid e che poteva essere riprodotta solo dall’uomo, è la guerra che ha sepolto immediatamente il modo di vivere in fraternità. Si è scatenata la follia del “mio” e dell’“io”». La sensazione del delegato per la Carità è che in quest’epoca in cui si fatica a scorgere «una realtà in fase ascendente, lucente, crescente», in un mondo risucchiato «nel tunnel della sofferenza, dell’ingiustizia e della decadenza», manchi la volontà di cambiare le cose. «Siamo troppo deboli – ha detto -. Come società non siamo in grado di metterci d’accordo e di avere una visione comune, lo si vede anche nel partitismo politico ed ecclesiale». La ricetta potrebbe essere quella di «entrare nella logica dei piccoli gesti quotidiani. Impariamo a vivere bene ogni singolo momento che dona serenità».
Suor Elisa Kidane ha osservato che l’incontro, che ha avuto per tema “Nessuno può salvarsi da solo”, si è svolto a conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. «Finché siamo divisi – ha detto – non andiamo da nessuna parte». Viviamo in un «mondo diviso – ha proseguito – dove tutti siamo nello stesso mare ma non nella stessa barca perché c’è chi naviga su scialuppe di salvataggio e chi su navi da crociera». Oltre alla guerra in Ucraina, a devastarlo ci sono anche «centinaia di conflitti di cui nessuno parla»; di qui il suggerimento ai ragazzi presenti di informarsi, approfondire, leggere, non fermarsi agli slogan o alle notizie che circolano sui social network. «Abbiate uno sguardo ampio – ha esortato -. Ci sono forze occulte che tramano nell’ombra con l’unico obiettivo di dividere, diffondendo tanti messaggi senza lasciare il tempo di approfondire». A chi chiedeva se è possibile cogliere un piccolo seme positivo anche in un conflitto, la religiosa ha annoverato tra le positività «le tante porte che si sono spalancate per accogliere i profughi in fuga» ma con amarezza, riferendosi ai cittadini fuggiti dall’Afghanistan nell’agosto 2021 dopo la conquista da parte dei talebani, ha aggiunto che per questo popolo «c’era stata una chiusura. Ci sono guerre di prima e di seconda classe».
Il direttore della Caritas Giustino Trincia ha proposto di «promuovere spazi di riflessione e di condivisione per aiutare le persone a non abituarsi e assuefarsi a questo stato di cose. Bisogna costruire sentieri di pace a partire dalla cura delle relazioni con le persone che incontriamo quotidianamente». Dal vice direttore don Paolo Salvini l’dea di «non fermarsi a riflettere su ciò che ci angoscia bensì su ciò che è prezioso» e di utilizzare i social network «per far circolare segnali di speranza». Ha inoltre invitato i ragazzi a «uscire dalla logica amici-nemici. Parliamo con quelli che consideriamo nemici senza accontentarci di guardarli da lontano o di criticarli alle spalle».
26 gennaio 2023