Il Papa: «Aprire il cuore alla vita dei rifugiati»
Francesco ha incontrato i giovani della Scuola di politica “Fratelli tutti”, promossa dalla Fondazione Scholas. L’attenzione alle ragazze, nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, e l’esortazione a essere «grati alla vita»
Il rifugiato non lascia la propria terra e i propri affetti per motivi commerciali o per visitare un altro Paese. «È fuggito per vivere e rischia la sua stessa vita». Un dramma che deve indurre tutti ad «aprire i cuori alla vita dei rifugiati. Non è un turista, la sua vita è molto dura». Invece sempre più spesso «il nostro egoismo fa cadere nella psicologia dell’indifferenza» e non si presta più attenzione alle imbarcazioni di fortuna che affondano «nel Mediterraneo, che sta diventando il più grande cimitero del mondo, o nel Mar Egeo, nell’Atlantico». È un nuovo forte invito a non voltarsi dall’altra parte bensì a prendersi cura dei rifugiati quello lanciato da Papa Francesco ieri pomeriggio, 25 novembre, dalla sala conferenze del Pontificio Collegio Internazionale Maria Mater Ecclesiae. Bergoglio ha incontrato una settantina di giovani tra i 16 e i 27 anni provenienti da 41 Paesi dei 5 continenti, che da martedì 23 fino a domenica 28 novembre condivideranno le esperienze vissute durante la pandemia. Appartengono a diverse culture e fedi religiose e provengono da vari contesti socio-economici: rifugiati, richiedenti asilo, studenti di prestigiose università e giovani esclusi dal sistema educativo. Alcuni di loro hanno iniziato un anno di lavoro insieme in qualità di borsisti della Scuola di politica “Fratelli Tutti”, lanciata dal Vaticano il 20 maggio scorso, e promossa dalla Fondazione Scholas. Si tratta del primo corso che vuole formare una comunità di giovani impegnati a creare un nuovo stile di leadership politica, orientata al bene comune.
Al suo arrivo Francesco è stato accolto dai fondatori di Scholas Occurrentes Josè María del Corral e Enrique Palmeyro e dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Ha quindi ascoltato le testimonianze dei ragazzi e risposto in spagnolo ad alcune domande. Un giovane rifugiato ruandese, fuggito con la famiglia nella Repubblica Democratica del Congo in seguito al genocidio del 1994, ha chiesto al Papa come ridare speranza a milioni di persone costrette a scappare dal proprio Paese. Francesco ha rimarcato che chi fugge lo fa «per necessità». Nel caso specifico del genocidio ruandese, le famiglie sono scappate «da una tragedia che non permetteva loro di vivere liberamente». È quindi importante tenere presente che quando si parla di rifugiati non si fa riferimento a «dei numeri, ma si parla di fratelli e sorelle che sono dovuti scappare – ha proseguito Francesco -. Alcuni di loro non l’hanno potuto fare, sono stati catturati e deportati in campi di concentramento». Basti pensare a cosa accade oggi «sulle coste libiche a chi torna indietro, viene catturato o cade nella trappola delle mafie che li tortura e li sfrutta, in particolare le donne».
Nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne è proprio alle ragazze in sala che si rivolge Francesco. «Voi potete immaginare cosa significhi essere vendute come merce – ha detto -. Questo succede oggi con ragazze come voi, con giovani madri. Essere un rifugiato significa camminare senza sapere dove andare, su un terreno non sicuro». Il Papa ha raccontato di aver da poco letto il libro “Fratellino”, in spagnolo “Hermanito”, di Amets Arzallus Antia e Ibrahima Balde, che racconta la storia di un ragazzo partito dalla Guinea alla ricerca del fratellino che aveva lasciato l’Africa per raggiungere l’Europa. «Racconta com’è la vita di un rifugiato», ha spiegato Bergoglio, ricordando i tanti incontri con i rifugiati, i quali gli hanno spiegato che «per arrivare in Europa impiegano anni, due o tre anni, fuggendo e camminando. La vita di un rifugiato è vivere per strada – ha rimarcato Francesco -, ma non nella strada della tua città bensì in quella della vita dove sei ignorato, calpestato e trattato come niente».
Esortando i giovani a essere «grati alla vita» per ciò che hanno, li ha invitati a non nascondere i propri sentimenti perché lasciandoli venir fuori si ha «l’obbligo di discernerli e affrontarli». Durante l’incontro i ragazzi hanno presentato al Papa lo spettacolo teatrale “I volti della pandemia” realizzato per illustrare, attraverso interventi artistici e l’uso di maschere dipinte con colori vivaci, il “volto” che la pandemia ha lasciato loro. Anche al Papa è stata consegnata una maschera bianca sulla quale ha scritto, con un pennarello verde, “sorridere” perché, ha spiegato, «la capacità di sorridere con il volto e con il cuore significa essere aperti alla vita». I ragazzi gli hanno quindi raccontato i giorni vissuti con Scholas, una comunità che favorisce «la capacità di incontro». A tal proposito Francesco ha ricordato che perdere questa capacità significa «fossilizzare l’anima e il cuore». Il ministro Bianchi ha parlato di un progetto, avviato con alcune insegnanti di Palermo e di Reggio Calabria, per costruire «una rete di scuole di senso, quello dell’affettività. Solo così possiamo costruire la comunità, vincere la pandemia, costruire i modi per vivere insieme».
26 novembre 2021