Prima scalata invernale del K2, storie da raccontare ai ragazzi
L’,epica dell’impresa nel silenzio mediatico, resa possibile dalla comunità; la dimostrazione dell’inutilità del narcisismo e l’esaltazione dell’aiuto reciproco
Chi segue un po’ la montagna e le vicende che hanno segnato la sua storia, sa che il 16 gennaio di quest’anno è accaduto un evento straordinario: è stata compiuta la prima scalata invernale del K2, la montagna delle montagne, la montagna. Negli ultimi anni in molti, specie occidentali, avevano provato a compiere questa impresa titanica, proibitiva, una specie di allunaggio terrestre sognato e agognato da generazioni di alpinisti, tentato sempre invano e non poche volte con la contropartita tragica di un prezzo in vite umane. Quest’anno, nel silenzio generale mediatico di un mondo reso terra comune dalla pandemia, l’impresa è riuscita. Il fatto è che però non sono stati gli occidentali a salire in cima al K2 d’inverno, non l’ennesimo team internazionale sponsorizzato e capeggiato dalla figura carismatica di turno, bensì un gruppo di dieci sherpa nepalesi. Sì, gli sherpa nepalesi, i portatori che per generazioni hanno fatto da facchini e da guide ai colonialismi alpini degli occidentali, che li hanno accompagnati sulle loro montagne, affinché piantassero sulle loro vette bandierine straniere di paesi lontani.
Ecco, il K2 d’inverno, la scalata delle scalate, se lo sono presi loro: gli sherpa nepalesi, i facchini, i poveracci e soprattutto la cima non è stata presa dall’eroe solitario di turno ma dal gruppo, che a pochi metri dalla cima si è volutamente ricompattato per arrivarci insieme, come testimoniato da un video emozionante pubblicato qualche giorno dopo. Negli anni passati, più di una spedizione occidentale era fallita per il protagonismo di alpinisti che per primi e da soli avrebbero voluto piantare la bandierina. Loro no, tutti insieme, i facchini, i poveracci, uniti: si sono presi il K2, gli sherpa si sono presi la montagna.
Che c’entra questa storia con i nostri ragazzi e le nostre ragazze, che c’entra con questo nostro tempo complicato? C’entra anzitutto perché è una bellissima storia e le storie come queste andrebbero raccontate, soprattutto a loro. Qualche volta mi è capitato di fare cenno in questa rubrica alla necessità che vedo per questa generazione di adolescenti, in un tempo quanto mai grigio, basso, reso da noi adulti opaco e minimo, di un nuovo racconto della Storia che riscopra l’epica dell’esistenza, il respiro essenziale per quegli anni dello straordinario che completa l’ordinario.
Cosa altro dovremmo raccontare ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze in questo tempo particolare, quali altre parole se non la bellezza di quella vetta e del passo lento di un gruppo di fratelli che ha deciso di osare? Nella storia degli sherpa nepalesi che si sono presi insieme il K2 c’è l’epica dell’impresa resa possibile dalla comunità, la dimostrazione dell’inutilità del narcisismo e l’esaltazione dell’aiuto reciproco. Ci sono le teste che guardano in alto, le gambe che sembrano stramazzare al peso della salita ma che nel sostegno dell’altro e non nella futilità del proprio ego o di un banale sponsor, trovano la forza di portare a casa le grandi imprese che l’essere umano è in grado di realizzare, quelle imprese che danno senso all’esistenza, siano esse compiute in cima a una montagna inviolata o nel chiuso delle nostre case e delle nostre classi.
10 febbraio 2021