Rebibbia femminile, detenuta getta i figli dalle scale
Il fatto nella sezione “nido”. Il più piccolo, di pochi mesi, è morto; l’altro, 3 anni, è grave. Lillo Di Mauro (Casa di Leda): «La legge che consente alle mamme di scontare la pena in case protette o istituti ad hoc c’è ma non è applicata»
È avvento tutto nella sezione “nido” del carcere di Rebibbia, questa mattina, 18 settembre: una detenuta ha gettato dalle scale i suoi due bambini che vivevano con lei. Il più piccolo, di pochi mesi, è morto. L’altro, circa 3 anni, è in gravissime condizioni all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù. A darne notizia è Lillo Di Mauro, presidente della Consulta penitenziaria e responsabile della Casa di Leda, una struttura protetta per donne detenute con figli minori. La donna, di nazionalità tedesca, è stata immediatamente fermata e portata in isolamento. Ancora da chiarire le cause del suo gesto, avvenuto all’interno di una delle aree più delicate della struttura penitenziaria. In ogni caso, nei suoi confronti sarà avviata un’indagine per omicidio e tentato omicidio.
«La legge che consente alla madri di bambini di scontare la pena in case protette o istituti creati ad hoc c’è, ma non viene applicata», commenta Di Mauro. E aggiunge: «Nella nostra casa protetta abbiamo posto per sei donne ma ne ospitiamo solo quattro. Il Tribunale non ce le manda perché il carcere oggi è ancora basato solo sulla sicurezza». Eppure è la legge 62 del 2011 a prevedere la possibilità di concedere misure alternative al carcere – «salvo esigenze eccezionali» – per le madri di minori fino a 6 anni di età, estensibili a 10. Per il presidente della Casa di Leda – che nel marzo scorso ha ricevuto anche la visita di Papa Francesco – «è un diritto dei bambini rimanere con la loro mamma e la custodia attenuata non deve essere considerato un premio bensì una misura da applicare ogni volta che la detenuta abbia figli piccoli. Per il loro bene. Purtroppo – prosegue – troppo spesso la custodia in una casa protetta viene vista dai Tribunali come una premialità. Ma secondo noi è un errore. La legge che potrebbe evitare queste tragedie quindi c’è ma va applicata. È una questione culturale».
18 settembre 2018