Shomali (Gerusalemme): «I due popoli in conflitto desiderano vivere in pace»

Il vescovo racconta ad Acs la situazione dei cristiani in Terra Santa. «Nessuno sa quale sarà la situazione a Gaza all’indomani della guerra». Gli abitanti «in una grande prigione»

Prima della guerra «a Gaza vivevano 1.017 cristiani». Dopo lo scoppio del conflitto, il 7 ottobre 2023, «la maggior parte di loro si è rifugiata nel complesso parrocchiale latino e una minoranza in quello greco-ortodosso». A raccontarlo alla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) è il vescovo ausiliare di Gerusalemme William Shomali, vicario patriarcale per la Giordania e amministratore apostolico del Patriarcato latino.

Gli sfollati, riferisce, «soffrono per la mancanza di elettricità, acqua potabile e cibo. Nei giorni scorsi, per fortuna, hanno potuto acquistare sacchi di farina. Una volta – racconta – hanno ricevuto polli congelati, che dovevano essere cucinati e consumati in giornata perché non avevano frigoriferi». Quanto alle abitazioni, «la maggior parte dei cristiani ha visto le proprie case distrutte. Vivono nelle aule delle nostre scuole. Una stanza di classe per una o due famiglie. Perciò, non potremo riprendere l’attività scolastica finché le famiglie non avranno ricostruito i loro appartamenti. Chi ricostruirà? Nessuno conosce quale sarà la situazione a Gaza all’indomani della guerra. Va da sé che continuiamo a pagare l’intero stipendio agli insegnanti delle nostre due scuole, altrimenti perderebbero l’unico reddito di cui dispongono».

I danni però non sono solo quelli materiali. «Trenta persone sono rimaste uccise nelle varie esplosioni avvenute – testimonia ancora Shomali -. Sono inoltre già partite più di 250 persone, tra le quali cittadini con doppia cittadinanza, alcuni malati e studenti che intendono proseguire gli studi. Un’associazione, di appartenenza sconosciuta, chiede tra 7 e 8mila dollari a persona per il permesso di uscire da Rafah in Egitto. Alcune famiglie sono riuscite a pagare, altre stanno cercando di raccogliere fondi per questo scopo. Adesso il passaggio di Rafah è chiuso. Gli abitanti di Gaza si trovano in una grande prigione».

Il presule fa il punto anche sull’impatto del conflitto sui cristiani palestinesi della Cisgiordania e su quelli di Gerusalemme Est. «Circa il 40% di loro lavorava, direttamente o indirettamente, nel turismo – ricorda -. Sono guide, autisti di autobus turistici, dipendenti di alberghi, e così via. Il Covid aveva dato un duro colpo a questo settore. Si era appena ripreso quando è arrivato il 7 ottobre. Da allora non ci sono più stati pellegrini e questi cristiani hanno sofferto per la perdita del lavoro o per un drammatico calo del loro reddito. Il Patriarcato latino, sulla base di studi e statistiche, stima che solo nel settore del turismo siano più di 3mila le famiglie che hanno perso il lavoro, senza contare le centinaia di persone impiegate come operai in Israele nel settore dell’edilizia o in altri settori».

Guardando al di là dei confini nazionali, lo scontro ideologico tra i sostenitori dell’una o dell’altra parte rischia di soffocare – o distorcere, per motivi politici – la voce delle comunità cristiane di Terra Santa. Proprio per questo, il vescovo sottolinea i reali sentimenti e propositi dei cristiani del territorio. «I due popoli in conflitto desiderano vivere in pace», afferma. Ma «come risolvere un conflitto che ha un forte sfondo ideologico riguardante il possesso della terra? La stessa terra viene rivendicata da ambedue i popoli: gli ebrei per ragioni bibliche, i palestinesi per ragioni storiche. La soluzione sarebbe quella dei due Stati, con Gerusalemme città aperta e condivisa. La comunità cristiana non crede si possa risolvere il conflitto con la forza, che non fa che accrescere l’odio e preparare un altro ciclo di violenza. Solo una soluzione giusta può portare la pace e la riconciliazione», ribadisce.

Il Patriarcato Latino di Gerusalemme attualmente sta aiutando le comunità cristiane con diversi progetti, diversi dei quali finanziati anche da Acs. «L’appello umanitario, lanciato dal Patriarca Pizzaballa dopo il 7 ottobre, ha prodotto una risposta favorevole grazie alla quale abbiamo potuto stabilire un programma di aiuto umanitario per Gaza e la Palestina. Con questo programma, aiutiamo le persone malate a ottenere i loro farmaci, sovvenzioniamo operazioni mediche, borse di studio, affitti delle case e aiutiamo le famiglie in difficoltà finanziarie – spiega ancora il presule -. Con la società Saint-Yves, un ramo legale del Patriarcato latino, stiamo lavorando per migliorare la situazione ai check-point. La maggior parte di questi posti di blocco è stata chiusa dopo il 7 ottobre. Saint Yves è riuscita ad aprirne più di uno. Le Chiese sono riuscite ad aumentare un po’ le quote di permessi concessi da Israele per l’ingresso di un certo numero di lavoratori palestinesi, anche se non sono soddisfatte tutte le richieste. Abbiamo creato anche borse di lavoro per consentire alle persone di avere un reddito. In base al programma sono stati assunti 400 lavoratori, i quali ricevono uno stipendio di 650 dollari al mese. Sappiamo che questo aiuto è insufficiente per compensare la perdita delle entrate, ma almeno manteniamo le famiglie fuori dalla miseria, in attesa dei giorni migliori».

Nelle parole di Shomali anche la gratitudine ai benefattori di Acs «per la loro vicinanza alla Terra Santa. Continuiamo a ricevere da loro un grande sostegno per i nostri progetti pastorali, nonché per i nostri bisogni umanitari. L’unico modo per ringraziarli è pregare per loro nei Luoghi Santi. Il Signore, che sa tutto, saprà come donare loro il centuplo».

23 maggio 2024