Suicidio assistito: il caso di Mario e il ruolo del Comitato etico Marche
L’Associazione Coscioni parla di primo caso autorizzato in Italia. Il Centro studi Livatino: «Il parere del Comitato marchigiano non dà alcun via libera»
La notizia è arrivata dall’Associazione Luca Coscioni: Mario (nome di fantasia), 43 anni, autotrasportatore di Pesaro, immobilizzato a letto da 10 anni dopo un devastante incidente stradale, aveva chiesto all’azienda ospedaliera delle Marche che fossero verificate le sue condizioni di salute per poter accedere, legalmente, in Italia, a un farmaco letale con cui porre fine alle sue sofferenze. Ora, è l’annuncio dell’Associazione, ha ottenuto il via libera dal Comitato etico e sarà «il primo malato a ottenere il via libera al suicidio medicalmente assistito in Italia», si legge nella nota diffusa oggi, 23 novembre.
La vicenda si era messa in moto un anno fa, quando Mario aveva avuto l’ok dalla Svizzera per andare a morire lì, dove il suicidio assistito è consentito. Ha scelto invece di seguire la via indicata dalla sentenza della Corte Costituzionale, cioè far verificare alla sua Asl l’esistenza dei 4 requisiti necessari per accedere alla dolce morte: l’essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale, l’irreversibilità della malattia, l’intollerabilità delle sofferenze e la lucidità necessaria a prendere decisioni consapevoli. Una battaglia giudiziaria, la sua, rivendicata come «pagina storica» verso la libertà di scelta sul fine vita da parte dell’Associazione Luca Coscioni.
Immediata la replica del Centro studi Rosario Livatino, che condanna anzitutto l’approccio dei giornali al caso. «”Suicidio assistito, primo via libera ad un malato italiano”: così titolano le testate che si occupano della vicenda di Mario, dopo il parere rilasciato dal Comitato etico regionale delle Marche – osservano -. Ma è realmente così? La versione integrale del parere non autorizza questa conclusione, intanto perché, nella confusione normativa attuale, se un qualsiasi Comitato etico avesse autorizzato un suicidio assistito avrebbe violato la legge, poiché sarebbe andato oltre le competenze che le varie disposizioni gli riconoscono». In un comunicato stampa i giuristi del Centro studi precisano che, «chiamato dal Tribunale di Ancona a verificare la sussistenza nel caso specifico delle condizioni previste dalla Corte costituzionale con la c.d. sentenza Cappato, a proposito del requisito della sofferenza intollerabile il Comitato parla di “elemento soggettivo di difficile interpretazione”, di difficoltà nel “rilevare lo stato di non ulteriore sopportabilità di una sofferenza psichica”, e di “indisponibilità del soggetto ad accedere a una terapia antidolorifica integrativa”».
Secondo gli esperti del Centro studi Livatino, «mentre quest’ultimo aspetto si pone in contrasto col requisito della Corte costituzionale, relativo al carattere pregiudiziale della pratica della terapia del dolore rispetto a qualsiasi trattamento di fine vita, la sofferenza intollerabile è qualificata e ancorata a un dato psicologico e soggettivo. Confermato pertanto che il Comitato etico non ha autorizzato alcun suicidio assistito, resta lo sconcerto – sulla base della lettura del parere – della percezione di uno sforzo comune teso a togliere la vita a un grave disabile: la cui sofferenza di ordine psicologico – concludono – merita aiuto e affiancamento, non l’individuazione della sostanza più idonea a ucciderlo».
23 novembre 2021