Chiesa e mondo del lavoro, promuovere comunione e solidarietà

Le celebrazioni del 1° maggio: Libanori alla Messa con Ufficio diocesano pastorale sociale e Acli Roma a Santa Maria in Portico; Ruzza alla veglia di Ac e Mlac

Sono i «gesti della comunione», che nascono da «menti lucide e illuminate dalle fede», quelli che «possono far maturare proposte nuove e concorrere ad un pensiero comune». Questo l’auspicio e insieme il monito del vescovo Daniele Libanori, ausiliare per il settore Centro, che venerdì 1º maggio, solennità di san Giuseppe Artigiano e Festa del lavoro, ha presieduto la Messa organizzata dall’Ufficio diocesano per la pastorale sociale della diocesi di Roma e dalle Acli provinciali di Roma nella chiesa di Santa Maria in Portico in Campitelli. Concelebranti don Francesco Pesce, incaricato dell’Ufficio diocesano, e padre Davide Carbonaro, parroco a Campitelli e guida spirituale delle Acli di Roma.

«La comunità cristiana è invitata a portare avanti la missione profetica del Signore e a riproporre il suo insegnamento – ha detto il presule commentando il brano evangelico che racconta di come Gesù non venne ben accolto come maestro nella sua città natale – e perciò, specialmente in questo giorno in cui viene posta alla nostra attenzione la questione operaia, dovremmo domandarci quali parole profetiche tocca a noi proclamare oggi». Quindi ha precisato: «Quando dico “noi” non mi riferisco solo ai preti o ai vescovi: ci troviamo in un ambito che investe tutta la Chiesa e in maniera particolare coloro che vivono la condizione secolare, i laici ai quali il Signore ha affidato la gestione delle realtà temporali».

Per Libanori, «animi liberi e menti aperte» devono e possono «riconoscere gli aspetti critici di una società della quale accolgono i vantaggi», sapendone però «riconoscere anche i limiti». Guardando poi ai profeti dell’Antico Testamento, che «usano un linguaggio ben più duro rispetto a quello di alcuni rappresentati sindacali», il vescovo ha invitato a «saper riconoscere quello che non va perché non è secondo la giustizia che viene da Dio». Ancora, Libanori ha evidenziato come «la reazione degli abitanti di Nazareth, che videro nel profeta Gesù un “guastafeste”, è il frutto dello scontro con un ostacolo» infatti «quelli che erano stati compagni di giochi o clienti della bottega del padre di Gesù presumevano di conoscerlo per il semplice fatto di avere trascorso del tempo con lui». È invece proprio «la presunzione di conoscere che impedisce di riconoscere davvero – ha affermato Libanori -: a Nazareth non erano pronti ad accogliere l’insegnamento del Signore perché non erano pronti ad abbandonare i propri pregiudizi».

Al termine della celebrazione senza la presenza di fedeli, ma trasmessa in streaming sui canali social delle Acli di Roma e della parrocchia di Santa Maria in Portico, Lidia Borzì, presidente delle Acli di Roma e provincia, ha portato il suo saluto riconoscendo nel «lavoro dignitoso per tutti il pilastro fondamentale per la crescita del Paese», ricordando in particolar modo «chi in questa emergenza sanitaria il lavoro l’ha perso».

Nel pomeriggio, un secondo momento di preghiera pensato per tutti i lavoratori e le lavoratrici: la veglia promossa dalla presidenza nazionale dell’Azione cattolica e dal Movimento lavoratori di Azione cattolica con il patrocinio dell’Ufficio diocesano. A presiederla, sempre in modalità on-line attraverso la trasmissione sui canali social dell’Ac di Roma, il vescovo ausiliare Gianrico Ruzza, delegato per la pastorale negli ambienti. Guardando al tema-guida “Il lavoro che speriamo / il pianeta che vogliamo” e alla situazione attuale di emergenza sanitaria, Ruzza ha richiamato «alla cura e alla custodia del Creato» riconoscendo nel lavoro «il modo proprio con cui l’uomo, chiamato ad essere custode del giardino dell’Eden, serve il Creato e serve Dio» e quindi come una «dimensione necessaria per dare lode al Signore».

Ancora, pensando alle conseguenze dell’epidemia, «della attuale “tempesta” in atto», il presule ha auspicato «la solidarietà della comunità cristiana per chi si troverà inoccupato» sostenendo che «solidarietà e comunità rappresentano la lotta vissuta cristianamente con le armi dell’amore». Infine, osservando come «il lavoro che si perde e che non viene tutelato è un’offesa alla dignità umana», Ruzza ha ricordato che «Gesù ha vissuto e condiviso con le proprie mani il lavoro, perché era vero uomo».

4 maggio 2020