De Donatis: «La prima medicina è l’affetto, il primo nutrimento l’attenzione»

Il cardinale vicario è intervenuto al meeting “Curare con il cuore”, promosso dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli. Nell’incontro tra Gesù e il lebbroso la linea da seguire: «Provare compassione, stendere la mano, toccare”

Agire con «compassione e attenzione», stando «accanto al paziente», perché nel processo di cura «la prima medicina è  l’affetto e il primo nutrimento l’attenzione», da rivolgere primariamente al malato, non soltanto alla malattia, «rimettendo dunque la persona al centro». È la strada indicata questa mattina, 6 dicembre, dal cardinale vicario Angelo De Donatis, intervenuto al meeting “Curare con il cuore”, alla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli, in via della Pineta Sacchetti.

«Il brano evangelico di Marco dell’incontro tra Gesù e il lebbroso – ha detto il porporato, a conclusione dell’incontro a più voci moderato dal giornalista Giovanni Minoli – offre tre verbi che possono fare da guida». Dapprima «il provare compassione per chi soffre e non sa darsi una spiegazione per quella che vive come una fatale ingiustizia»; quindi, «stendere la mano, ossia accompagnare non solo con professionalità ma con umanità, guardando alla salute integrale di ogni “piagato”». Infine, «toccare, cioè entrare in contatto anche fisico con la persona».

Promosso da Massimo Massetti, ordinario di Cardiochirurgia all’Università Cattolica e direttore dell’Area cardiologica del nosocomio intitolato a padre Gemelli dove sta attuando un progetto specifico in tal senso, l’evento ha offerto l’occasione per un confronto sul tema dell’umanizzazione della medicina nelle dimensioni organizzative, strutturali e  relazionali del processo di cura. Il rettore della Cattolica Franco Anelli aveva aperto i lavori evidenziando come «il titolo stesso di questo appuntamento ci porta a chiederci quando le cure hanno smesso di essere primariamente umane e si è passati a curare più la malattia che il malato; oggi c’è l’esigenza di tornare a un’attenzione al paziente nel suo complesso».

Anche il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’ateneo, facendo riferimento a una preghiera scritta dal filosofo Pascal durante un periodo di malattia aveva sottolineato nel suo saluto che «il Gemelli vuole essere un cuore pulsante nella società in grado di ridare speranza ai malati mediante dinamiche che pongono al centro la persona». Da parte sua, Rocco Bellantone, preside della facoltà di Medicina e chirurgia dell’università, ha guardato con fiducia alle nuove generazioni di medici «che non vogliamo educare al mero tecnicismo, perché nessuna scienza può dare felicità e serenità al malato».

Per monsignor Mauro Cozzoli, docente di Teologia morale alla Pontificia Università Lateranense, «deve essere recuperata la cultura del conforto nella relazione di cura; una relazione empatica nella quale il medico sente il dolore del malato». Del paziente come «stella polare» ha parlato anche Filippo Crea, direttore del Dipartimento di Scienze cardiovascolari e toraciche della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli mentre Mariella Enoc, presidente dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, ha sottolineato come «con i più piccoli è tutta la famiglia a essere presa in carico e posta al centro, pur nella normalità, con semplici e piccole attenzioni per non far sentire mai soli e abbandonati». In sala anche il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto emerito della Congregazione per i vescovi e il vescovo Paolo Ricciardi, delegato diocesano per la Pastorale sanitaria.

6 dicembre 2018