Fausto Bertinotti: dalla crisi dei valori a quella dei partiti

Il presidente della Camera dal 2006 al 2008 è intervenuto nella parrocchia di Sant’Eusebio in una serata dedicata alla politica e alle sue derive. Il compito di «costruire un popolo» e il riferimento a Francesco

«La politica è la forma più alta di carità». Ha preso le mosse da questa citazione di Papa Paolo VI la conferenza che ieri, 23 aprile, Fausto Bertinotti ha tenuto nella parrocchia di Sant’Eusebio all’Esquilino, in piazza Vittorio Emanuele II. Al centro: la politica e le derive partitiche, guardate attraverso il punto di vista privilegiato di uno dei protagonisti della politica italiana degli ultimi 20 anni, seppure con una trama simile a quella di tanti altri colleghi, dall’ascesa alla caduta, al ritorno, fino all’uscita di scena. Bertinotti infatti, sindacalista nella Cgil e membro del Partito comunista italiano, si oppone allo scioglimento del partito e alla nascita del Pds, iscrivendosi e poi diventando segretario di Rifondazione Comunista. Appoggia il governo di Romano Prodi (1996) a cui però toglie la fiducia due anni dopo, provocandone la caduta. Ritorna nel centro-sinistra contemporaneamente allo stesso Prodi nel 2006 e viene eletto presidente della Camera per quella breve legislatura: nel 2008 cade infatti il Prodi II e alle successive elezioni la coalizione di sinistra, non alleata con il Pd di Veltroni, sorprendentemente non entra in Parlamento.

«Dal punto di vista delle analisi, non posso sottrarmi alla disperazione», ha esordito Bertinotti rivolto alla platea, introdotto dal parroco don Sandro Bonicalzi. Questa parola, “disperazione”, riassume lo stato complicato delle cose: crisi dei valori, dei partiti e in particolare di un’area politica, quella delle sinistre, che in Italia e ovunque in Europa è continuamente avvilita dai risultati elettorali. Perché? «Perché a una sconfitta storica – ha spiegato il presidente riferendosi a quella primavera del 2008 – è seguito qualcosa di peggiore della stessa sconfitta: una mutazione genetica. Si può essere sconfitti, ma bisogna provare a ripetere il cammino perché le ragioni di quella sconfitta non cancellano l’ambizione che abbiamo avuto».

I riferimenti sono personali – Bertinotti era il candidato primo ministro alle elezioni di dieci anni fa – ma anche alla storia recente. «Eravamo per la giustizia e siamo diventati giustizialisti, eravamo per la liberazione del lavoro e siamo diventati a favore della competitività e della concorrenza, eravamo per la pace e oggi gridiamo alla “guerra giusta”. C’è solo la corsa al potere, al governo. Ma ci si dimentica che il governo e il potere possono essere una prigione». Questo deserto è il campo in cui Bertinotti dice di militare tuttora. Ribadendo che in questa landa desolata la guida è quella di Papa Francesco: «Una figura pulita, unica nel suo continuo tentativo di ricostruire il rapporto tra la sua istituzione, la Chiesa, e il popolo. Io in politica non vedo un analogo che abbia la stessa volontà». Anzi, alle parole del pontefice oggi non corrisponde che il silenzio: la politica non è più in grado di dire qualcosa di significativo per la vita delle persone. Né, secondo il presidente, sa riconoscersi nel suo compito principale «che è quello di costruire un popolo. E per costruire un popolo bisogna avere una meta e avere la volontà di compiere un viaggio. Si può anche perdere ma conta il viaggio, conta la compagnia che abbiamo creato, l’umanità. Conta opporre al pessimismo dell’intelligenza l’ottimismo della volontà».

L’intervento di Bertinotti ha toccato quindi la seconda enciclica di Francesco, la Laudato si’, di cui riporta qualche passaggio; ma la chiusura di Bertinotti è una citazione di Albert Camus, lo scrittore del divorzio fra l’uomo e la vita: «Per resistere bisogna non respirare l’aria del mondo», che oggi equivale ad affidarsi alla coscienza dell’uomo. Sperando che basti.

24 aprile 2018