“Giardini della Filarmonica”, lo stupore nella rassegna estiva
Fino al 6 luglio artisti di 10 Paesi e molteplici espressioni artistiche. Il direttore artistico Lucchesini: «Basta mettere insieme strumenti diversi per creare un linguaggio universale»
È il tema dello “stupore” il fil rouge dell’edizione 2019 dei “Giardini della Filarmonica“, la rassegna musicale estiva dell’omonima Accademia romana. Dal 26 giugno al 6 luglio nella sede di via Flaminia, alle pendici di Villa Borghese, a Roma, si esibiscono 10 Paesi per un viaggio virtuale intorno al mondo. Alcuni sono ospiti noti: Giappone, India, Iran, Slovacchia e Corea del sud, mentre per altri – come l’Irlanda, la Bulgaria, gli Stati Uniti e la Colombia – è la prima partecipazione alla kermesse della Filarmonica. Come è nella cifra della prestigiosa istituzione della Capitale, da sempre aperta alle molteplici espressioni artistiche, anche quest’anno si avrà in scaletta la musica più varia, dalla classica al jazz, come pure sono previste mostre, incontri e letture. Location d’eccezione, oltre alla Sala Casella e alla Sala Affreschi, il palco all’aperto dei Giardini: una rivisitazione, stilizzata in chiave moderna, della fontana della Barcaccia realizzata per la Filarmonica dal regista Denis Krief.

«Per questa edizione del festival abbiamo provato a mettere l’accento sullo stupore – racconta il direttore artistico Andrea Lucchesini -. Su questa sensazione, cioè, che si va perdendo sempre di più. Probabilmente la globalizzazione che ci mette tutto a portata di mano, così come l’utilizzo di internet grazie al quale tutto è conoscibile, ci hanno tolto la bellezza della sorpresa. Quella che ci permette di ampliare la mente e il cuore di fronte al mondo, superando le distanze culturali. Durante i 10 giorni della rassegna, i Paesi coinvolti nei 21 concerti in programma ci faranno avvicinare l’uno all’altro e ci renderanno più aperti al mondo». Quel mondo da sempre minato da guerre e segnato drammaticamente da divisioni e dove la cultura, quale veicolo di sentimenti positivi come la fratellanza, può fare la differenza. «In tal senso il ruolo della cultura è importante ma con la musica, forse perché il musicista ha una sensibilità più spiccata, diventa ancora più facile». Non serve molto: «Basta mettere insieme strumenti diversi per creare un linguaggio universale, a cui tutti possono accedere e che tutti possono capire». Lucchesini cita un esempio fra tanti: la West Eastern Divan Orchestra, fondata nel 1999 da Daniel Barenboim insieme allo scrittore Edward Said, «con lo scopo di favorire il dialogo fra musicisti provenienti da Paesi e culture storicamente nemiche» come Israele, Giordania, Libano e Palestina.

Tra gli appuntamenti in programma particolarmente attesi, il direttore artistico richiama l’attenzione su quello del 5 luglio, patrocinato dall’Ambasciata degli Stati Uniti e intitolato “I diritti degli altri”. «Nel corso dell’evento verranno letti da David Riondino testi di personaggi che nella storia hanno segnato un passo importante nell’affermazione dei diritti delle donne, ad esempio, o dei diritti razziali o, ancora, dei diritti dei bambini, e che saranno intervallati da brani di musica jazz eseguiti dal clarinettista Gabriele Mirabassi che duetta con il pianista Enrico Zanisi». E a proposito di stupore, non può non lasciare piacevolmente colpiti la presenza al festival di giovanissimi enfant prodige: a loro è dedicata la giornata del 2 luglio, con la JuniOrchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia che riunisce attualmente circa 400 strumentisti dai 5 ai 21 anni. A loro si affiancano con un recital la tredicenne Carlotta Maestrini e, nell’appuntamento del 4 luglio, la violoncellista Maria Salvatori e la pianista Rosamaria Macaluso, entrambe della Scuola di Musica di Fiesole. Le due interpreti si misureranno nell’esecuzione di Bach, Schumann e Brahms.
Nella stessa serata – ospite l’India – si ascolterà il khayal, forma di canto considerata fra i punti più alti di fusione fra cultura indiana e cultura persiana. La Colombia debutta invece questa sera, 1°luglio, con l’Orquesta Filarmónica de Medellín e, a seguire, un omaggio anche alla Spagna di Joaquín Turina. Quella del 3 luglio è una serata dedicata a Michele dall’Ongaro – compositore e attuale presidente-sovrintendente dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia – che qui rivisita una delle più celebri opere verdiane, con “Gilda, mia Gilda (per non dire Il Rigoletto)”, melologo del 2001 per voce recitante e quintetto d’archi, su testo di Vittorio Sermonti. «Non si tratta mica di rifare Rigoletto gareggiando col Maestro – chiarisce Dall’Ongaro -. Credo che nessuno sia così idiota. Si tratta invece di estrarre l’anima di una drammaturgia perfetta per ammirarne le molle, le viti, i bulloni».

Il 5 luglio, la Bulgaria fa il suo ingresso ai Giardini della Filarmonica con uno dei suoi migliori talenti, il pianista Ivan Donchev, che per questo debutto si concentra su Chopin, Liszt e Pancho Vladigerov, il più noto compositore bulgaro di cui ricorrono, nel 2019, i 120 anni dalla sua nascita. Per la serata finale (6 luglio), il concerto tenuto dal trio Tupa Ruja sarà un viaggio tra strumenti, lingue e dialetti differenti, come il portoghese o il genovese. La chiusura del Festival è affidata alla voce e al canto di Raffaella Misiti. “‘s Wonferful” è il titolo del suo concerto, che ricorda come agli inizi del secolo scorso i migranti europei a migliaia attraversarono l’oceano in cerca di un destino migliore. Su quelle navi viaggiavano anche molti musicisti, alcuni con i loro inseparabili strumenti, e intere famiglie migranti che portavano nel nuovo mondo le loro tradizioni musicali: “’s Wonderful” racconta allora (con Gershwin, Berlin, Weill, Gardel, Piazzolla) lo stupore dell’incontro tra culture e suoni diversi.
1° luglio 2019