Il cardinale Enrico Feroci ha preso possesso della “sua” parrocchia del Divino Amore

La celebrazione nel santuario vecchio di Castel di Leva. Già parroco nella stessa comunità, ha ricevuto la berretta cardinalizia il 28 novembre scorso

«È la tua parrocchia! Il Papa ha fatto cardinale un parroco». Durante il rito dell’imposizione della berretta, della consegna dell’anello cardinalizio e dell’assegnazione della diaconia – la parrocchia di Santa Maria del Divino Amore a Castel di Leva, appunto -, il 28 novembre scorso, Papa Francesco ha accompagnato con queste parole la formula di rito, pronunciata in latino, rivolta a don Enrico Feroci, già direttore della Caritas diocesana di Roma, dal 1° settembre 2019 alla guida della comunità parrocchiale del santuario mariano. E proprio lì, nel santuario vecchio, a cui è legata la devozione e la memoria di tanti romani, ieri mattina, 24 maggio, il porporato ha preso possesso del suo titolo cardinalizio.

Una celebrazione intima, nella cornice della chiesa costruita nel 1745, a ricordo del miracolo ricevuto da un viandante smarrito, aggredito da una muta di cani rabbiosi, salvato dall’invocazione «Madonna mia, grazia!». Iniziava da lì una devozione mai interrotta di Roma e dei romani alla Vergine del Divino Amore. Il 4 luglio 1999, poi, la dedicazione del nuovo santuario, con Giovanni Paolo II, che scioglieva così il “voto” dei romani, quando, nella primavera del 1944, supplicarono la Vergine del Divino Amore perché la città fosse risparmiata dalla devastazione della guerra, impegnandosi alla conversione e a realizzare a Castel di Leva un’opera «di religione e di carità».

La presa di possesso del cardinale Feroci avrebbe dovuto svolgersi il 4 gennaio scorso ma un focolaio di Covid-19 nella comunità del santuario aveva spinto al rinvio come «misura di precauzione», dato, tra l’altro, che l’isolamento fiduciario avrebbe impedito alle comunità femminile e maschile di partecipare alla celebrazione. «Io sono solo la stampella che porta il vestito messo sulle spalle di tutti i sacerdoti romani», aveva detto Feroci subito dopo la notizia della nomina da parte di Francesco. «Si dice sempre che il presbitero è colui che dà le mani al vescovo per toccare il Corpo di Cristo che è il popolo di Dio. Ecco, Papa Francesco ha voluto ringraziare le mani di tanti sacerdoti», le sue parole.

Nell’omelia della Messa per la presa di possesso – «termine bello ma anche ambiguo» -, la prima parola pronunciata dal cardinale è stata invece «grazie. È la prima parola che io e voi dobbiamo dire – ha affermato -. Grazie al Signore perché ha voluto ( don Umberto Terenzi, che ha dato tanto impulso a questo Santuario non lo avrebbe nemmeno sognato!), attraverso la benevolenza di Papa Francesco, che questo luogo, santificato da una presenza speciale di Maria da secoli, luogo dell’incontro con Dio attraverso la mediazione di Maria, come consolazione, come aiuto, come ringraziamento, come supporto alle scelte della vita, diventasse un punto di riferimento della Chiesa di Roma con il titolo cardinalizio. Da oggi e nel futuro – ha aggiunto – la Chiesa di Roma guarderà al nostro Santuario non solo come luogo della grazia ma anche come luogo significativo e indispensabile alla stregua delle tante altre chiese importanti della nostra città».

Centrale, nella riflessione di Feroci, anche il ruolo della “diaconia” intesa come «servizio, disponibilità a servire il Signore. Mi sembra che questa sia la legge fondamentale dell’essere discepoli di Cristo», ha detto spiegando il motivo che lo ha spinto, questa volta, ad accettare la presa di possesso; cosa che non aveva voluto fare nel luglio del 2019, quando il cardinale vicario De Donatis lo aveva nominato parroco di Santa Maria del Divino Amore a Castel di Leva. «Avrei dovuto, dopo la nomina, prendere possesso di questa stessa chiesa a norma dei canoni del codice di diritto canonico. Ma mi sono avvalso del canone 527 che prevede la dispensa dalle modalità per la presa di possesso, come d’altra parte ho sempre fatto nelle altre occasioni in cui ho avuto degli incarichi nella Chiesa di Roma».

Il servizio come «indicazione precisa di Gesù», quindi: «Per noi, discepoli, servizio è legge fondamentale, che abbiamo scelto di mettere a fondamento della nostra vita. Fortunato chi ha capito lo scopo della vita e vuol fare della propria vita un ministero, una diaconia, una donazione, una carità totale». Quindi, un ricordo personale: «Qualche giorno dopo il Concistoro, sono andato a via Vergerio a visitare i nostri sacerdoti anziani che risiedono lì. Uno di loro, che conoscevo da quando io facevo le medie, vedendo il mio stemma mi ha detto: ho un dono per te. È corso in camera e mi ha dato una preghiera, che è diventata ed è la mia preghiera». Si tratta della “Preghiera dell’asino”: «Gesù tieni i miei piedi ben fermi sulla terra e le mie orecchie ritte verso il cielo. Dammi il coraggio di portare grossi pesi sul mio dorso e una voce possente per chiamare gli altri a te. Concedimi di andare sempre avanti disdegnando carezze e bastonate. Non eviterò le asinerie, fanno parte di me stesso. Ma Gesù, con la tua grazia, fammi andare verso Te, da Betlemme a Gerusalemme. Con te. Per te. Con tutti i miei fratelli».

25 maggio 2021