Il grido della Terra è quello dei poveri

Spesso nei nostri acquisti, nei nostri depositi in banca, c’è lo spettro di lavoratori sfruttati, di prostituzione minorile, di una terra martoriata e insanguinata

Domenica 6 ottobre ha preso il via il Sinodo speciale per l’Amazzonia: l’Aula Paolo VI si è riempita di colori e suoni degli abitanti delle Regioni situate lungo il corso del Rio delle Amazzoni. Il Sinodo accende i riflettori su una terra bella e ferita, simbolo di tutti quei luoghi in cui il mancato rispetto per l’ambiente e per la natura genera vecchie e nuove povertà. E tanto sangue. Per addentrarsi come spettatori e ospiti nelle regioni amazzoniche, e nei loro drammi, ci si può far accompagnare da un libro di Lucia Capuzzi e Stefania Falasca, da poco pubblicato: “Frontiera Amazzonia”.

Frontiera Amazzonia, libro di Lucia Capuzzi e Stefania Falasca«L’Amazzonia è una donna. Una donna stuprata. Ha negli occhi il colore della notte e i capelli lisci come gli strapiombi delle Ande. A Madre de Dios era scesa guardandoci senza dire una parola. Un urlo di silenzio. Volevamo incontrarla, poterla guardare negli occhi. E siamo andate. E siamo entrate in quegli occhi. Queste pagine ne sono la voce. Perché l’Amazzonia è vicina. È fuori e dentro la vita di tutti». Questo l’incipit del volume che ha la pregnanza di un libro-inchiesta. Il lettore viene accompagnato lungo il corso del Rio delle Amazzoni, alla scoperta dei colori, delle persone, delle ricchezze – che molte volte sono al tempo stesso le rovine – di una vastissima e bellissima zona del nostro pianeta. Lo sguardo è duplice: è quello del “tutto è connesso” della Laudato si’, e al tempo stesso quello di una vicinanza discreta, di chi osserva con empatia, di chi cerca di comprendere le situazioni dal di dentro.

Tutto è connesso: il grido della Terra e il grido dei poveri sono lo stesso grido. Le miniere di oro illegali e nascoste di Madre de Dios, dove si lavora in condizioni impossibili, dove si muore per la concentrazione di mercurio nel sangue, dove la prostituzione brucia i sogni di bambine e adolescenti, ci dice che chi non rispetta la terra depreda i più poveri, cioè chi non ha alternative. Non possiamo venire a conoscenza di queste situazioni e non interrogarci sui modelli di sviluppo che stiamo portando avanti, perché di quello che accade in quelle terre noi siamo complici, molte volte inconsapevoli. Sì, perché spesso nei nostri acquisti, nei nostri depositi in banca, nella gestione dei nostri risparmi, c’è lo spettro – attraverso il riciclaggio e l’emersione dell’oro illegale – di lavoratori sfruttati, di prostituzione minorile, di una terra martoriata e insanguinata.

Ma quella non è economia: non chiamiamo tale lo sfruttamento selvaggio di queste terre, se l’economia, l’«oikos–nomos» è la custodia e la gestione della casa e del pianeta. Forse l’«oikos» nei secoli è stato inteso come casa privata più che come casa comune, ed è stato guardato con occhi maschili più che femminili. Ci si è curati dunque dei beni privati, delle imprese, dei contratti, e poco dei beni comuni, del bene-stare, delle relazioni. Ma una città, una società, non può essere solo un insieme di beni privati. Parlare di beni privati in Amazzonia è un ossimoro, essa è la terra che potrebbe diventare un modello di gestione dei beni comuni. Il Sinodo ci sta già dando un assaggio di tutto questo. (da Roma Sette del  13 ottobre 2019)

29 ottobre 2019