Il Papa ai diplomatici: no a «tensioni nazionalistiche»

All’inizio dell’anno la tradizionale udienza al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. L’esortazione a difendere i più deboli e l’appello per la Siria. «Ripensare il nostro destino comune»

Perché la Chiesa deve avere uno Stato? Una risposta indiretta a questa domanda che tanti si pongono l’ha fornita Papa Francesco all’inizio dell’udienza concessa questa mattina, 7 gennaio, al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, in occasione del tradizionale scambio di auguri di inizio anno: «L’obbedienza alla missione spirituale spinge il Papa – e dunque la Santa Sede – a preoccuparsi dell’intera famiglia umana e delle sue necessità anche d’ordine materiale e sociale. Tuttavia, la Santa Sede non intende ingerire nella vita degli Stati bensì ambisce a essere un ascoltatore attento e sensibile alle problematiche che interessano l’umanità, con il sincero e umile desiderio di porsi al servizio del bene di ogni essere umano». In quest’ottica il Papa ha ricordato i diversi accordi intercorsi nell’ultimo anno, in particolare quello «provvisorio» con la Cina, auspicando che possa «assicurare quegli spazi necessari per un effettivo godimento della libertà religiosa», e la prossima nomina di un rappresentante pontificio residente in Vietnam ma ha anche ricordato la preoccupante situazione del Nicaragua, che «seguo da vicino, con l’auspicio che le diverse istanze politiche e sociali trovino nel dialogo la strada maestra per confrontarsi per il bene dell’intera nazione».

Ricordando il prossimo centenario  della  Società delle Nazioni, che segnò «l’inizio della  moderna  diplomazia  multilaterale», il Papa ha sottolineato che l’Onu, erede di quell’esperimento fallito con la seconda guerra mondiale, rappresenta «pur sempre un’innegabile opportunità per le nazioni di incontrarsi e di ricercare soluzioni comuni». Tuttavia, di fronte all’insorgere di «tensioni nazionalistiche» simili a quelle che segnarono la fine della Società delle Nazioni, è «importante che anche nel  tempo presente non venga meno la volontà di un confronto sereno e costruttivo fra gli Stati». Francesco ha anche messo in guardia dall’«accresciuta  preponderanza nelle organizzazioni internazionali di poteri e gruppi di interesse che impongono le proprie visioni, innescando nuove forme di colonizzazione ideologica, non di rado irrispettose dell’identità, della dignità e della sensibilità dei popoli», frutto anche di una «reazione, in alcune aree del mondo, a una globalizzazione sviluppatasi troppo rapidamente e disordinatamente». Il riapparire di spinte nazionalistiche «sta progressivamente  indebolendo il sistema multilaterale, con l’esito di una generale mancanza di fiducia, di una crisi di credibilità della politica internazionale  e di una progressiva marginalizzazione dei membri più vulnerabili della famiglia delle nazioni».

Richiamando il discorso di Paolo VI alle Nazioni Unite, il Papa ha ricordato il primato della giustizia e del diritto riaffermati dal suo predecessore. Un dovere per i politici che lo stesso Francesco ha voluto sottolineare nel messaggio per la Giornata mondiale della pace, in cui ha messo in stretta relazione la buona politica e la ricerca autentica della pace. Il Papa ha poi ricordato la necessità di difendere i più deboli e si è soffermato sulla preoccupante situazione in Ucraina e sugli aiuti offerti dalla Chiesa come pure sul dramma della Siria. «La  comunità  internazionale con le sue organizzazioni è chiamata a dare voce a chi non ha  voce. Ancora una volta faccio appello alla comunità internazionale perché si favorisca una soluzione politica  a un conflitto che alla fine vedrà solo sconfitti. Soprattutto è  fondamentale che cessino le violazioni del diritto umanitario». Il Papa non ha dimenticato i milioni di profughi e il dramma dei cristiani perseguitati in Medio Oriente ma, ricordando i prossimi viaggi in Marocco e negli Emirati Arabi, ha insistito sulla necessità del dialogo con l’Islam. Inevitabile il riferimento ai fenomeni migratori: «Sono consapevole che le ondate migratorie di questi anni hanno causato diffidenza e preoccupazione tra la popolazione di molti Paesi, specialmente in Europa e nel Nord America, e ciò ha spinto diversi governi a limitare fortemente i flussi in entrata, anche se in transito. Tuttavia – ha ribadito il Papa – ritengo che a una questione così universale non si possano dare soluzioni parziali».

Francesco, ricordando la prossima Gmg di Panama e i 30 anni della Convenzione sui diritti del fanciullo, ha affrontato anche la piaga della pedofilia, ribadendo l’impegno della Santa Sede e della Chiesa a combattere gli abusi. E tra i deboli da tutelare e rispettare, ha inserito anche le donne, nel 30° anniversario della Mulieris Dignitatem, e i lavoratori: «Se  non adeguatamente tutelato, il lavoro  cessa  di  essere  il mezzo  attraverso  il  quale  l’uomo  si  realizza  e  diventa  una  moderna  forma  di  schiavitù», ha detto.  Continuando quindi la sua panoramica internazionale, ha ricordato i diversi conflitti presenti in Africa, in particolare in Congo, anche se non mancano segnali positivi come l’accordo tra Etiopia ed Eritrea, l’accoglienza di tanti profughi, la pacifica convivenza tra fedeli di diversi credi religiosi. Ha espresso soddisfazione per gli sviluppi positivi delle relazioni tra le Coree e auspicato la ripresa delle trattative tra Israele e Palestinesi.

Infine, il Papa, continuando sulle orme del discorso di Paolo VI, ha sottolineato l’importanza di «ripensare il nostro destino comune», mettendo in guardia da una ripresa della corsa agli armamenti anche nucleari. Non è mancato poi un riferimento all’ambiente e al prossimo Sinodo sull’Amazzonia.
Francesco ha concluso il suo lungo discorso ricordando i 30 anni della caduta del Muro di Berlino e i 90 della nascita dello Stato Vaticano: «In questa ricorrenza, assicuro al popolo italiano una speciale preghiera affinché, nella fedeltà alle proprie tradizioni, mantenga vivo quello spirito di fraterna solidarietà che lo ha lungamente contraddistinto».

7 gennaio 2019