La diplomazia italiana davanti alla Shoah

In mostra alla Casina dei Vallati immagini e documenti sull’applicazione delle leggi razziali, fino al 1943. L’ambasciatore israeliano Oren David: «Nel buio ci sono state e ci sono delle luci»

Ad accogliere i primi visitatori sono stati lo sguardo sereno e la stretta di mano vigorosa, nonostante gli 88 anni, di Sami Modiano, uno degli ultimi sopravvissuti alla Shoah e ai campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau. «Parlate dell’Olocausto soprattutto ai giovani – ha ripetuto con forza -, la storia e la memoria sono importanti: i miei occhi di adolescente hanno visto un orrore che non voglio che i ragazzi di oggi debbano mai più rivedere». Le sue parole e il suo monito hanno introdotto nel modo più adatto alle immagini e ai documenti esposti alla Casina dei Vallati, sede della Fondazione Museo della Shoah, in via del Portico d’Ottavia, in occasione della mostra inaugurata ieri mattina, 27 gennaio, nella Giornata della memoria: “Solo il dovere, oltre il dovere. La diplomazia italiana di fronte
alla persecuzione degli ebrei (1938-1943)”.

Promossa dalla Fondazione Museo della Shoah in collaborazione con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Unità di analisi, programmazione, statistica e documentazione storica), l’esposizione, che si avvale del patrocinio del Consiglio dei ministri ed è stata curata da Sara Berger e Marcello Pezzetti, «rappresenta una riflessione sulla memoria collettiva della diplomazia italiana e sul comportamento tenuto rispetto all’applicazione delle leggi razziali – ha chiosato Mario Venezia, presidente della Fondazione -. I documenti raccontano di scelte abiette ma forniscono anche la testimonianza del coraggio di chi fece prevalere la coscienza individuale, riconoscendo l’universalità di alcuni principi e diritti inalienabili». E la formula “il dovere oltre il dovere”, che dà il titolo alla mostra, sembra infatti richiamare, seppure non in maniera esplicita, quell’imperativo categorico che il filosofo Immanuel Kant ha posto al centro della sua riflessione etica: agire in modo da trattare tutta l’umanità sempre come fine e mai come mezzo.

Questo fecero ad esempio Guelfo Zamboni e Giuseppe Castruccio, consoli generali d’Italia a Salonicco, che al tempo della seconda guerra mondiale ospitava la più grande comunità al mondo di ebrei sefarditi: (56mila persone. Il primo ne salvò almeno 350 dalla cattura da parte dei nazisti, il secondo riuscì a falsificare la nazionalità di molti di loro spacciandoli per ebrei italiani o italiani, e quindi trasferibili ad Atene, occupata dall’esercito italiano, evitando così la loro deportazione nei campi di sterminio nazisti.

«Accanto a storie edificanti e che fecero onore al nostro Paese – ha chiosato Armando Barucco, dirigente dell’Unità di analisi, programmazione e documentazione storico-diplomatica del ministero degli Affari esteri -, ci fu anche chi si rese complice dell’Olocausto compiendo scelte diverse per convinzioni ideologiche: quello che la mostra propone è il racconto di luci ma anche di ombre, senza, è ovvio, alcuna finalità apologetica». Anche Oren David, ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, ha parlato di «oscurità» riferendosi all’antisemitismo che «ancora oggi, purtroppo, non è stato definitivamente sconfitto»; tuttavia non va dimenticato «come nel buio ci siano state e ci siano delle luci, segno di speranza nella lotta all’indifferenza».

All’inaugurazione della mostra erano presenti anche il vicepresidente della Regione Lazio Massimiliano Smeriglio, il vicesindaco di Roma Capitale Luca Bergamo e la presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello. L’esposizione resterà aperta al pubblico fino al 14 luglio, dalla domenica al giovedì, dalle 10 alle 17; il venerdì dalle 10 alle 13, escluse le festività ebraiche. Chiusa, invece, il sabato per il riposo settimanale ebraico. L’ingresso è libero.

28 gennaio 2019