La visita di De Donatis ai luoghi simbolo della Comunità di Sant’Egidio
Il vicario ha incontrato i migranti che frequentano la Scuola di italiano e i malati della casa famiglia di via Anicia. Impagliazzo: sui corridoi umanitari l'ok di Salvini
L’incontro con gli immigrati che frequentano la Scuola di lingua e cultura italiana in via di San Gallicano e l’abbraccio con gli ammalati della casa famiglia di via Anicia. È stata una visita nei luoghi simbolo della solidarietà della Comunità di Sant’Egidio, che celebra il 50° anniversario di fondazione, quella che l’arcivescovo vicario Angelo De Donatis ha fatto ieri pomeriggio, martedì 5 giugno, accompagnato da don Marco Gnavi, parroco di Santa Maria in Trastevere. Ad accoglierlo in via di San Gallicano, Marco Impagliazzo, presidente della Comunità, e Daniela Pompei, responsabile immigrazione.
Nata nel 1982, oggi la Scuola di lingua e cultura italiana conta 2mila stranieri iscritti, a fronte dei 4mila che frequentano gli istituti di Roma. Provengono da oltre 143 Paesi e i livelli di studio si articolano in cinque corsi, ai quali si aggiungono anche corsi organizzati per sostenere l’integrazione, tra i quali caregiver, economia domestica e mediatori culturali, confluiti in corsi universitari in convenzione con l’università per stranieri “Dante Alighieri” di Reggio Calabria e l’università per stranieri di Perugia. Molti degli insegnanti sono ex studenti che hanno deciso di restituire «l’accoglienza ricevuta in Italia», ha spiegato Impagliazzo. Il vicario ha visitato le aule e ascoltato le storie dei migranti, molti dei quali sono giunti in Italia grazie al progetto Corridoi umanitari. Impagliazzo ha parlato del progetto con il neo vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini, il quale, ha riferito, si è detto d’accordo nel portarlo avanti. «Spero che venga implementato – ha aggiunto il presidente della Comunità di Sant’Egidio -. A questo nuovo governo chiederei anche che si lavorasse di più in tema di integrazione e per cambiare e rendere meno rigide le regole di Dublino».
La fuga dalla guerra, la paura di non riuscire a salvarsi, la prigionia in mano ai trafficanti di uomini: questi i fattori comuni a molti racconti. Edmund e Amal sono siriani e il primo è nato in una città che è stata rasa al suolo dai bombardamenti. Da un anno e mezzo è arrivato in Italia con il fratello e il cugino, svolge il servizio civile e studia alla scuola serale. Amal, vedova da dieci anni, è arrivata in Italia la scorsa settimana con i suoi tre figli adolescenti. Ha raccontato che a Damasco la vita è difficile e aveva paura a far uscire i figli di casa. Oggi è felice perché i suoi ragazzi possono aspirare a un futuro diverso. Ghirmulem e la moglie Amleseth, eritrei, si sono ricongiunti da una settimana. Lui è arrivato in Italia sei mesi fa. Dopo la fuga dall’Eritrea è stato venduto a varie tribù e, incatenato, ha dovuto affrontare viaggi estenuanti.
«Avete avuto molto coraggio – le parole del vicario -. Sono colpito dal modo in cui siete stati capaci di reagire tra tante difficoltà. Fortunatamente sulla vostra strada avete incontrato degli angeli custodi. Penso con tristezza a tutti quelli che non riescono ad arrivare». Impagliazzo, evidenziando che oggi «la Chiesa è la prima realtà del mondo al fianco dei migranti», ha ricordato in proposito la veglia “Morire di speranza” che si terrà il 21 giugno per ricordare quanti sono morti nel tentativo di raggiungere l’Italia. La scuola è «la dimostrazione che si può vivere felicemente insieme anche se si proviene da tanti Paesi diversi e si professano vari credi religiosi», ha aggiunto monsignor Gnavi.
Seconda tappa della visita, la casa di accoglienza per malati soli o senza fissa dimora in via Anicia. Suddivisa in due livelli, la struttura ospita 20 persone, uomini e donne, provenienti da 14 nazionalità. Il clima familiare e accogliente aiuta gli ammalati ad avere meno paura della sofferenza e della morte. Gli ospiti raccontano di una paziente morta la scorsa settimana che ha insegnato loro ad affrontare la malattia con il sorriso. «Qui non siamo più soli – affermano – ci sosteniamo l’un l’altro anche se tutti sofferenti nel corpo». Ognuno contribuisce come può. C’è chi prepara il piatto tipico del proprio Paese di origine, chi rende la terrazza un luogo accogliente per le pause relax. «Essere curati è importante – ha detto il vicario – ma in questa casa si trova anche la salvezza».
La visita si è conclusa con la consueta preghiera serale della Comunità di Sant’Egidio nella basilica di Santa Maria in Trastevere, aperta dal saluto del fondatore, Andrea Riccardi. «Nel cuore della Roma antica portiamo i dolori delle periferie, le sofferenze quotidiane – ha dichiarato -. Una Roma ferita, umiliata, sempre più etnica e multi religiosa che deve saper leggere i segni dei tempi guardando i volti della gente. La nostra città ha bisogno di essere ascoltata e stimata».
6 giugno 2018