Le organizzazioni: «Proteggere i civili a Rafah e nel resto della Striscia»

La nota congiunta sulla crisi umanitari: «Per settimane abbiamo messo in guardia sulle conseguenze dell’offensiva di terra. A Gaza non c’è nessun posto sicuro dove andare»

Una nota congiunta per dare voce alla «profonda preoccupazione per la situazione critica a Rafah, nella Striscia di Gaza». È il documento che porta la data di oggi, 23 maggio, sottoscritto da Azione contro la fame, Istituto per gli studi sui conflitti e l’azione umanitaria (Iecah), Medici senza frontiere (Msf) e Save the Children. «Per settimane abbiamo messo in guardia sulle conseguenze devastanti di un’offensiva militare di terra in quest’area densamente popolata, così come sulla mancanza di un piano di evacuazione praticabile per proteggere i civili e sulla mancanza di un accesso garantito ai servizi e ai beni essenziali per la loro sopravvivenza – ricordano -. A Gaza non c’è nessun posto sicuro dove andare. Purtroppo, la comunità internazionale non riesce a fermare questa tragedia imminente».

Le organizzazioni rimarcano che la recente offensiva delle forze israeliane a Rafah e la chiusura del più importante punto di passaggio per gli aiuti umanitari nel sud «ha lasciato più di un milione di civili intrappolati in una situazione disperata, compresi i bambini, e ha fatto sì che più di 2.000mila camion aspettassero sul lato egiziano, impossibilitati a passare». Si è interrotta, insomma, la risposta umanitaria, «già estremamente limitata», dato che la chiusura del valico di Rafah si è unita all’inaccessibilità del valico di Kerem Salom, a causa della situazione della sicurezza, e all’impossibilità di far arrivare gli aiuti dal valico di Erez, nel nord della Striscia, verso il centro e il sud di Gaza. Il risultato: l’ulteriore peggioramento delle già precarie condizioni della popolazione civile, «che da mesi si trova a dover affrontare carenza di cibo e di acqua, condizioni di alloggio precarie e servizi sanitari praticamente interrotti».

Ancora, «le limitazioni alla rotazione del personale umanitario imposte dalle operazioni militari hanno comportato l’interruzione degli spostamenti delle équipe umanitarie, con il conseguente impatto sulla loro sicurezza ed efficacia nel proseguire il lavoro. Secondo le Nazioni Unite – si legge nel documento delle organizzazioni -, la malnutrizione sta già mietendo vittime. La negazione dell’accesso umanitario è una violazione del Diritto internazionale umanitario e la fame non dovrebbe mai essere usata come arma di guerra».

Stando ai dati Onu, sono oltre 900mila le persone fuggite dopo l’ordine di evacuazione emesso dalle autorità israeliane il 6 maggio scorso, «ma molte altre sono ferite o semplicemente troppo vecchie, malate o deboli per fuggire di nuovo». La concentrazione degli aiuti a Rafah «è stata fondamentale per consentire l’accesso ai servizi di base, al cibo e all’acqua a decine di migliaia di persone nelle aree meridionali e centrali della Striscia di Gaza, nonostante il blocco in corso. Questo ennesimo trasferimento, nel mezzo di un conflitto in corso e senza sapere se saranno in grado di sopravvivere nella loro nuova destinazione, comporta un immenso peso psicologico ed emotivo per la popolazione, in particolare per i bambini e le persone vulnerabili. Un blocco ancora più grave degli aiuti umanitari mette a serio rischio la sopravvivenza dell’intera popolazione».

Nell’analisi delle organizzazioni, «gran parte della narrazione sugli aiuti umanitari si è concentrata sul numero di camion che attraversano il confine, sui lanci aerei o sugli ingressi via mare, che non sono altro che distrazioni progettate per creare un’illusione di aiuto, rappresentando soluzioni complesse per problemi che avrebbero una soluzione più efficace e rapida: l’apertura dei valichi di frontiera di Kerem Shalom e Rafah. Le nuove vie di comunicazione dovrebbero essere complementari alla distribuzione degli aiuti via terra, non sostituirla».

Di qui l’esortazione alla comunità internazionale ad adottare misure immediate per proteggere i civili a Rafah e nel resto della Striscia. «Ricordiamo l’obbligo delle parti di rispettare il divieto di trasferimento forzato dei civili ai sensi del Diritto internazionale umanitario e le garanzie di accesso della popolazione ai beni essenziali per la propria sopravvivenza. Un cessate il fuoco immediato e permanente, attuato da tutte le parti in conflitto – sottolineano – è fondamentale per evitare ulteriori sofferenze e perdite di vite umane e per consentire un accesso umanitario sicuro e senza ostacoli in tutta la Striscia di Gaza».

Come organizzazioni impegnate a fornire assistenza umanitaria a Gaza, «riaffermiamo il nostro impegno a continuare a fornire un sostegno vitale alle comunità colpite, nonostante le sfide e i rischi che dobbiamo affrontare. Il nostro personale continua a lavorare instancabilmente per fornire assistenza umanitaria a chi ne ha più bisogno, e siamo pronti ad adattarci e a rispondere alle mutevoli esigenze nel mezzo di questa crisi senza precedenti – assicurano i firmatari del documento -. Chiediamo la solidarietà internazionale e un’azione urgente per porre fine alla crisi a Rafah e in tutta la Striscia di Gaza. Non possiamo permettere che questa situazione umanitaria si aggravi ulteriormente. È tempo di agire», l’esortazione conclusiva.

23 maggio 2024