L’esordio “azzurro” di Barbagallo

Protagonista, sceneggiatore e regista, l’autore porta sul grande schermo una modernità dai tratti minimalisti e con poco slancio, laddove realtà e finzione si toccano e un po’ si nascondono

Un’estate romana come tante altre ma anche stavolta, quando i genitori partono per il mare, Dario è molto indeciso sul da farsi: seguirli o restare a Roma? Da questo interrogativo si dipana Troppo azzurro, opera prima di Filippo Barbagallo, in sala da alcuni giorni. Al momento di apparire in scena, Dario mette subito in campo una irresistibile vocazione: quella di muoversi il meno possibile, di restare in una Roma che nella stagione estiva risulta particolarmente suggestiva e attraente. A confortarlo ci sono sempre gli amici storici, a cominciare da Sandro, che conosce fin dai tempi delle medie e fa da collante tra le scuole dell’infanzia e quelle della maturità.

Oggi Dario studia architettura, è figlio unico e si trova in quella situazione che molti invidiano ma che poi, quando arriva lascia sempre una certa sensazione di vuoto: da una parte i genitori lo aspettano al mare, dall’altra i suoi coetanei hanno da tempo programmato vacanze con le rispettive ragazze. Un’ ultima riflessione si fa largo in Dario: quella che “sto bene da solo”. Un pensiero che sembra fatto apposta per sgombrare il campo dalla necessità di prendere una qualsiasi decisione e lo induce a restare chiuso in se stesso. Così il ragazzo rimane nella Capitale avendo vicino Lara, da tempo sua fidanzata.

Se questo punto di partenza si sgretola, è solo per qualche avvenimento occasionale che non smuove più di tanto le acque. Dario infatti conosce Caterina, potrebbe partire con lei ma anche stavolta niente cambia.

Barbagallo è il prototipo del giovane esponente di una modernità dai tratti minimalisti e con poco slancio, laddove realtà e finzione si toccano e un po’ si nascondono. Nato a Roma nel 1995, diplomato in sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia, assistente alla regia nei film di Paola Randi e Valerio Mastandrea, ha genitori che nel cinema lo hanno seguito e aiutato. Esponente esemplare di quel cinema romanocentrico, che per tanti anni ha segnato le strade del cinema italiano prima di essere “contaminato” da altre zone nazionali, Filippo ha appreso al meglio la lezione offerta da Gianni Di Gregorio e dal suo Pranzo di Ferragosto (2008), nell’ottica di un cinema di poche parole, di gesti contenuti e di azioni ridotte.

Un cinema in cui il contesto vale più dei protagonisti che vivono in quella storia, e a vincere sono ironia, malinconia, distacco. Vengono a mente i primi film di Nanni Moretti ma qui prevale di più una sorta di letteraria “comfort zone” che lascia tutto in sospeso. Non è un caso allora che il film abbia una durata breve (88’) che da sola attira il plauso degli avversari dei kolossal e di chi non ama storie infinite. Com’è buona abitudine in questo tipo di film, Barbagallo è insieme protagonista, sceneggiatore, regista. Senza eccessi. Troppo azzurro è un film monocolore che svela la propria anima piena di sfumature.

22 maggio 2024