Nel Kurdistan iracheno, i cristiani al servizio di curdi e profughi
L’Agenzia Fides raccoglie la testimonianza di padre Jens Petzold da Mar Musa, la comunità fondata dal gesuita romano Paolo Dall’Oglio, scomparso in Siria. «L’emergenza non è terminata». Numerosi i rifugiati siriani
Una situazione tranquilla, senza tensioni, ma nella quale l’emergenza profughi e rifugiati causata dalla guerra contro l’Isis e dall’instabilità interna dell’Iraq, è tutt’altro che terminata. Da Sulaymaniyya, nel Kurdistan iracheno, arriva la testimonianza di padre Jens Petzold, religioso di Mar Musa – la comunità fondata dal gesuita romano Paolo Dall’Oglio, scomparso in Siria nel 2013 -, da anni in Kurdistan. «Per tre anni – riferisce il religioso all’Agenzia Fides – abbiamo ospitato nella nostra comunità a Sulaymaniyya i profughi cristiani fuggiti di fronte all’avanzata dei miliziani dello Stato islamico. Nel periodo più critico dormivano, mangiavano e vivevano con noi 250 uomini, donne e bambini». Un’emergenza alla quale «abbiamo risposto grazie agli aiuti internazionali e al nostro impegno personale. A settembre – prosegue padre Petzold – gli ultimi profughi hanno lasciato la nostra comunità e sono tornati a casa. La maggior parte di essi proveniva da Qaraqosh».
In questi anni il Kurdistan è arrivato ad accogliere 1.700.000 tra sfollati interni e rifugiati. Nella sola zona di Sulaymaniyya ne erano presenti 200mila, tra i quali 5mila cristiani. MA l’emergenza, mette in guardia padre Jens, «non è terminata. Molti musulmani sunniti non possono e non vogliono rientrare nelle loro terre di origine per paura di rappresaglie sciite. Poi abbiamo anche numerosi rifugiati siriani, in buona parte curdi, che non se la sentono di tornare in patria, temendo insicurezza e precarietà». Diversi i progetti improntati, per tutti loro, dal religioso e dai volontari che si alternano nella sua comunità. Il più importante è la scuola di lingue – «curdo, inglese e arabo» -, a cui si affiancano le attività teatrali. «Stiamo pensando di creare una scuola popolare – aggiunge padre Jens -. E, a fianco dei corsi di lingua, inserire altri insegnamenti: storia, filosofia, letteratura. Vogliamo offrire e offriamo queste attività a tutti: curdi, profughi, rifugiati. Non facciamo distinzione di fede né di appartenenza etnica».
Padre Jens e i volontari lavorano anche a Kanakawa, un villaggio yazida non lontano da Sulaymaniyya, dove tengono corsi di lingue e alfabetizzazione. «Noi – conclude il religioso – ci rivolgiamo ai giovani perché se è vero che la guerra è terminata e il Kurdistan è abbastanza stabile, è anche vero che l’economia langue. Dobbiamo aiutare i giovani a crearsi competenze utili da spendere nel mondo del lavoro. L’obiettivo è creare un’economia più strutturata e meno dipendente dal settore statale nel quale ora è impiegata la maggior parte dei lavoratori».
4 ottobre 2018