Padre Jacques Mourad: «Vivere l’amore, ogni giorno, verso tutti»

L’incontro dei giovani del liceo Amaldi, a Tor Bella Monaca, con il monaco di Deir Mar Musa (Siria), rapito dai jihadisti nel maggio 2015 e fuggito 4 mesi dopo

Più che testimone dell’orrore vissuto sei anni fa, quando è stato per cinque mesi in mano ai jihadisti, padre Jacques Mourad può essere considerato un ambasciatore di pace. Non c’è odio nelle sue parole ma appelli alla non violenza, a cercare il bene nel cuore di ogni persona, a guardare l’altro negli occhi, a non fermarsi a vedere il terrorista ma l’uomo. E a perdonare. Sempre. Perché il perdono «è uno dei pilastri della testimonianza di fede».

Monaco siro-cattolico, padre Mourad venerdì sera, 12 novembre, ha raccontato il suo sequestro agli studenti del liceo scientifico, linguistico e classico “Edoardo Amaldi”, a Tor Bella Monaca, durante un incontro promosso dai Giovani per la Pace della Comunità di Sant’Egidio. Nato ad Aleppo 54 anni fa, appartiene alla comunità monastica cattolico-siriaca Deir Mar Musa, fondata dal gesuita romano padre Paolo Dall’Oglio del quale non si hanno più notizie dal 29 luglio 2013. Due anni dopo, il 21 maggio 2015, padre Jacques era nel monastero di Mar Elian a Quaryatayn quando fu rapito da due jihadisti. Riuscì a fuggire il 10 ottobre «con la complicità di un amico musulmano che ha rischiato la sua stessa vita» per salvare il monaco, «a riprova che non c’entra la religione se c’è la bontà del cuore». Dopo oltre quattro mesi ha potuto «celebrare la libertà fisica, perché quella interiore nessuno può toglierla, neanche dietro minacce di morte».

Dopo la liberazione, padre Jacques ha vissuto per quattro anni nel Kurdistan iracheno. Oggi è tornato in Siria, devastata da oltre dieci anni di una guerra «di cui si parla poco ma della quale tutti sono responsabili, compresa la comunità internazionale». Il popolo siriano è «l’unica vittima» di una tragedia che ha già prodotto 500mila morti, più di 8 milioni di profughi e «la scomparsa di centinaia di persone delle quali si è persa ogni traccia dopo il rapimento». Ha chiesto agli studenti di pregare per la pace nella sua terra di origine e poi, rispondendo alle domande di Marika, Alessandra, Francesca, Adam, ha ripercorso i suoi cinque mesi di prigionia in un ex mulino a Raqqa. «Ogni giorno minacciavano di sgozzarmi se non mi fossi convertito – ha ricordato -. Umanamente avevo paura ma la fede mi ha salvato perché sapevo che se fossi morto avrei raggiunto il Regno di Dio. Quando hai davanti qualcuno che vuole ucciderti l’unica cosa da fare è guardarlo negli occhi e cercare Dio in lui. Non era facile trovare il bene in loro ma il mio non reagire alle loro minacce, il silenzio, i sorrisi, hanno fatto riflettere uno dei miei carcerieri e in pochi giorni la sua aggressività si è attenuata tanto da indurlo a chiedermi se avessi bisogno di qualcosa». Gli studenti gli hanno domandato quindi cosa devono fare i giovani per contrastare le violenze anche in un quartiere come Tor Bella Monaca, spesso al centro delle cronache. Il religioso ha risposto che l’unica arma contro la violenza «è l’amore. La violenza si propaga se l’altro reagisce; bisogna vivere l’amore, ogni giorno, verso tutti».

L’incontro «è stato un grande arricchimento per i ragazzi», ha detto la preside Maria Rosaria Autieri, ricordando che il liceo “Amaldi”, l’istituto comprensivo “Melissa Bassi” di via dell’Archeologia e la Comunità di Sant’Egidio hanno sottoscritto un patto educativo di comunità che vede «la scuola aperta al territorio e al fianco dei ragazzi. I nostri studenti sono tutti propositivi, hanno grandi potenzialità e si spendono per combattere contro i pregiudizi che gravano sul quartiere. La cultura – è la convinzione della dirigente – deve uscire dalla scuola per contribuire alla crescita di Tor Bella Monaca, di cui troppo spesso si fa vedere solo il lato oscuro».

15 novembre 2021