“Qui rido io”: un ritratto di Scarpetta
La pellicola di Mario Martone, in concorso alla Mostra di Venezia, nelle sale dal 9 settembre. Tra esperienza teatrale e cinematografica e la memoria culturale di Napoli
Nella edizione n° 78 della Mostra del Cinema di Venezia, conclusasi il 12 settembre, va ricordata la presenza nella sezione principale del Concorso di cinque film italiani. Il primo è Qui rido io, uscito il 9 settembre nelle sale italiane. Diretto da Mario Martone con la consueta, impeccabile, capacità nel disegnare storie ad ampio raggio, il film ha il merito di riuscire in una operazione per niente facile: annodare i fili della sua solida esperienza teatrale e cinematografica con la memoria culturale della sua città, Napoli. Il tutto mettendo al centro del racconto un ritratto in chiaroscuro di Edoardo Scarpetta. Che è stato grande interprete, capocomico e autore di memorabili commedie.
In sede di sceneggiatura, Martone, lavorando con Ippolita di Majo, sceglie di concentrarsi su un episodio della maturità professionale dell’uomo. Siamo nel 1904, Eduardo vive un momento di grande successo, i suoi spettacoli fanno segnare sempre il tutto esaurito, specialmente con la maschera di Felice Sciosciammocca, che sta diventando più popolare persino di quella di Pulcinella. Teatri strapieni, pubblico pieno di entusiasmo e successo incontenibile, all’apice del quale Scarpetta decide di cambiare registro: prende “La figlia di Iorio”, una tragedia scritta da Gabriele D’Annunzio, e ne propone una parodia. L’esito però è inaspettato: quando si levano i primi fischi, il risultato della serata è ormai compromesso. Il tentativo di mettere alla berlina il testo di un “mostro sacro” come D’Annunzio non ha funzionato, il pubblico si ribella e, soprattutto e inaspettatamente, il poeta abruzzese reagisce intentando contro Scarpetta una causa per plagio.
Da questo momento in poi sembra quasi legittimo parlare di un secondo film. È l’inizio del XXI secolo e l’episodio della querela, sconosciuto (va detto) ai più, apre un varco di crescente importanza nelle pieghe della storia del teatro tra fine ‘800 e inizio ‘900. Un momento di grande vitalità nel quale entra in ballo il concetto di libertà di espressione nella commedia. E non solo. Perché, a poco a poco, mentre sembra raccontare la cronaca di una controversia culturale, il copione si apre ad altri scenari di non minore importanza. Qui rido io scopre allora non solo le origini delle più fortunate maschere napoletane ma anche la genesi delle famiglie più note di capocomici. Dietro ai ruoli dei protagonisti, si delinea il legame familiare che univa gli Scarpetta ai De Filippo (Titina, Eduardo, Peppino). Padre di tutti, non solo a livello artistico ma anche biologico, era proprio Edoardo Scarpetta: una situazione da tutti conosciuta e accettata, a partire dalla moglie. Bisogna dire che l’attenta stratificazione dell’opera risulta assai affascinante, e tra realtà e finzione, produce risultati di notevole forza espressiva. Al centro dei quali si pone Toni Servillo/Scarpetta, attore mimo dalle mille maschere.
20 settembre 2021