Servizio civile e reddito di cittadinanza, il rischio della costrizione
Oliviero Bettinelli (Caritas Roma) commenta l’ipotesi di obbligatorietà: «Un’idea di società pensata per opprimere ogni istanza di apertura gratuita all’altro»
L’ipotesi di un servizio civile obbligatorio in cambio del reddito di cittadinanza, ventilata nel “decretone” in aula al Senato, dopo l’ok in commissione Lavoro, «è il segnale che il disfacimento del tessuto sociale di un Paese non è una calamità naturale ma il preciso disegno di trasformare, da chi ci governa, le motivazioni e le opportunità che lo renderebbero capace di dare anima al tessuto sociale in una becera e mera merce di scambio dal vago sapore elettorale». Non usa mezzi termini Oliviero Bettinelli, responsabile dell’Area Pace e Mondialità della Caritas diocesana di Roma. In un editoriale online sul sito della Caritas romana osserva che «le risorse destinate alla gestione del bene comune attraverso la scelta libera di chi vuole svolgere il suo servizio civile potrebbero essere utilizzate per sostenere il reddito di cittadinanza a giovani che ne facciano richiesta, ingabbiando il ciclo della povertà in un circuito senza prospettive di liberazione, intrappolato dalle dinamiche del più inutile assistenzialismo». I giovani motivati, prosegue, «saranno costretti a rivedere le loro aspettative e le loro speranze, depauperando il Paese di una visione ideale di cui invece ha bisogno come si ha bisogno dell’aria».
Per Bettinelli, non c’è «niente di casuale in tutto questo» e forse, aggiunge, non si tratta neanche solo di un semplice artificio economico per far quadrare i conti. «L’attacco alle ong, la compressione dei servizi di accoglienza, il tentativo poi rientrato di penalizzare il mondo del non profit, il servizio civile obbligatorio in funzione utilitaristica»: il responsabile di Pace e Mondialità di Caritas Roma mette in fila tutti i decreti che «tendono a marginalizzare la diversità e la povertà in nome di un paradossale decoro urbano». Le modalità e i linguaggi «con cui si sta delegittimando il volontariato, di cui la vicenda del rapimento di Silvia Romano è simbolo», gli attacchi «non solo mediatici e spesso istituzionali alle iniziative di solidarietà definite con sarcasmo “buoniste”», commenta, «sono precisi segnali della riduzione a comparsa fastidiosa con cui viene considerata una cultura dell’accoglienza e dell’inclusione».
Il “gioco” sta proprio nel «mantenere una società schiacciata sulla paura e di conseguenza depotenziare e delegittimare chi questa paura cerca di scalfirla con una presenza costante e una progettualità liberatrice», le parole di Bettinelli. Il solo pensare di ridurre l’impegno e l’esperienza del servizio civile a un obbligo per chi ha difficoltà economiche, incalza, «rivela un modo di vedere la società costruita e pensata per opprimere ogni istanza di apertura gratuita all’altro, mercificandola e contrattandola». E anche l’argomentare tutto questo in chiave moralistica «non è in prospettiva etica ma è funzionale a tarpare le ali a un processo di integrazione che cerca di opporsi all’elemosina come unica modalità di relazione tra chi è costretto a pagare i prezzi delle disuguaglianze e chi li genera».
“Smontare” questa unica modalità di relazione tra società civile e istituzione significa «rivendicare nuovi rapporti di mediazione tra questi soggetti sul terreno dei diritti. Il servizio civile volontario lo può fare; quello legato alla necessità di reperire risorse no. Depauperato della dimensione di libertà – conclude il responsabile Caritas – resterà accartocciato sulla costrizione e non si evolverà in quella che dovrebbe essere una scelta consapevole, coinvolgente e liberante».
26 febbraio 2019