“The Old Oak”, il j’accuse di Loach

Il film nelle sale dal 16 novembre: la questione sociale, con l’accoglienza di alcuni siriani in fuga dalla guerra, e il dato umano. Un viaggio nelle zone d’ombra della società

Old oak è l’ultimo pub rimasto in quella che una volta era una vivace cittadina mineraria nel nord est dell’Inghilterra: un posto in cui le persone possono ritrovarsi per un semplice e schietto passatempo. Da questo luogo piccolo e sperduto che si fa fatica a individuare sulla carta geografica parte la vicenda di The Old Oak, il nuovo film di Ken Loach, ancora una volta pronto ad alzare il muro delle sue immagini per arginare le storture della società che ci circonda. Uscito in sala il 16 novembre, nel presentarlo il regista inglese ha detto che, vista la sua età ormai avanzata, questo potrebbe essere il suo ultimo lungometraggio.

Al centro di The Old Oak c’è TJ Ballantyne, un oste vecchio stile che con bonomia, calma e tanta pazienza tiene in piedi il locale, faticando non poco per ritardarne la chiusura. Gli avventori dell’Old Oak sono una piccola comunità, fatta di gente rude ma semplice, dedita a far fruttare il poco lavoro rimasto purché possa essere condiviso con gli altri della cittadina. Uomini e donne vivono nell’ottica di una solidarietà reciproca che vuol dire anche scambiarsi aiuto e attività pratiche e manuali, in un contesto di progressivo svuotamento del territorio.

L’equilibrio della cittadina corre su un filo estremamente precario che rischia di rompersi quando in paese vengono accolti alcuni siriani in fuga dalla guerra. Ballantyne prende le difese della giovane Yara alla quale è stata rotta, con gesto dispregiativo, la macchina fotografica che era il suo strumento per fare cronaca e memoria della vita in quel luogo. La presenza di quei profughi acuisce inevitabilmente contrasti e tensioni. Ballantyne prova a prodigarsi per far sì che abitanti locali e profughi possano trovare un modo per comprendersi.

Ken Loach però non ama il prevedibile, lo scontato. La situazione che sembra avvitarsi in un vicolo cieco è rivoltata da Loach: la questione sociale gli interessa ma ancora di più evidenzia il dato umano. E su questo il regista non fa sconti, ci conduce per mano nelle zone d’ombra della società. Eccolo allora tornare con rinnovata vitalità sui temi già affrontati negli indimenticabili Io Daniel Blake (2016) e Sorry we missed you (2019). Così il quadro non riguarda più solamente il territorio ma soprattutto gli abitanti, le persone, quelle donne e uomini che eventi non previsti hanno fatto incontrare e ai quali si chiede di non vivere il loro presente da ultimi della scala sociale ma di unirsi per respingere la tentazione di far vincere pregiudizi e timori e dare la precedenza a qualcosa di più vero che confina con la verità della speranza.

«Un giorno – ha detto Ken Loach dovremo essere così organizzati e determinati da fare in modo che la solidarietà possa porre fine alla sofferenza e alla necessità di ricorrere alle lotte. Abbiamo già aspettato troppo a lungo». Film da non perdere per non restare indietro con la storia.

20 novembre 2023