A San Bartolomeo una reliquia delle 10 suore martiri del comunismo
Consegnata al santuario dell’Isola Tiberina una lettera di suor Paschalis, la più giovane delle Elisabettiane uccise nel ’45, beatificate a giugno. Libanori: «Reliquia importante»
Nel giorno della memoria liturgica delle 10 suore della congregazione di Santa Elisabetta uccise in vari luoghi della Slesia e dell’attuale Repubblica Ceca nella prima metà del 1945 dai soldati dell’Armata Rossa e beatificate lo scorso giugno, venerdì sera, 6 ottobre, nella basilica di San Bartolomeo, il memoriale dei nuovi martiri che sorge sull’Isola Tiberina, è stata solennemente introdotta dalla postulatrice generale suor Paula Zaborowska, dalla superiora generale della congregazione Rafaela Fischbach e da suor Samuela Werbińska nell’altare dei nuovi martiri del comunismo una «reliquia importante». Così il vescovo ausiliare per il settore Centro Daniele Libanori, che ha presieduto la celebrazione, ha definito «la lettera che suor Maria Paschalis Jahn – la più giovane delle consorelle, uccisa l’11 maggio 1945 durante un tentativo di violenza da parte di un soldato sovietico all’età di 29 anni – scrisse nel 1944 indirizzandola alla famiglia» mentre operava in una delle strutture della congregazione destinate «alla cura degli anziani e dei malati».
Sull’altare anche don Angelo Romano, rettore del Santuario. Guardando alle 10 religiose «disarmate ma insieme forti e determinate nel loro servizio in un momento drammatico» quale la seconda guerra mondiale, il presule ha compiuto «un parallelismo con le 10 vergini» della parabola evangelica scelta per la meditazione, notando «la fondamentale differenza per cui tra di loro non troviamo le 5 vergini stolte», infatti «tutte sono pronte, in questo caso ad affrontare la violenza», tanto che «restiamo ammirati e sorpresi perché hanno saputo resistere fino alla morte» pur non appartenendo «a una categoria speciale». Possiamo anzi «ben immaginare le loro preoccupazioni, che certamente avevano – ha continuato Libanori -, ma la Parola e la preghiera hanno nutrito il loro cuore, insieme alla carità per gli altri, di cui avevano fatto il centro della loro vita», in questo modo «trovando abbondante olio dell’amore. Questo significa vegliare ossia lasciarsi toccare il cuore, essendo capaci di rispondere con prontezza».
Nella lettera del gennaio del 1944 scritta da suor Paschalis ai genitori, in particolare si legge come «rimetteva nelle mani di Dio tutte le sue preoccupazioni, rimanendo fedele alla sua missione», sono ancora le parole di Libanori, pur interrogandosi su che cosa attendesse lei e le compagne. «Oggi – ha spiegato in conclusione il vescovo, riprendendo l’immagine dell’Apocalisse di san Giovanni -, le consorelle fanno parte della moltitudine di quanti sono passati attraverso una grande tribolazione», la cui fede «è stata rinnovata dall’amore di Cristo e resa splendente dall’amore del Padre», e «in questo tempo di nuovi e pericolosi conflitti questa testimonianza è per noi particolarmente preziosa».
Al termine della celebrazione, animata dalla Comunità di Sant’Egidio e a cui ha preso parte il capitolo generale delle Suore di Santa Elisabetta, riunito a Roma dallo scorso 25 settembre, la superiora generale ha espresso «sincera gratitudine per l’opportunità che ci è stata data di introdurre le reliquie della beata martire elisabettiana in questo santuario», ringraziando inoltre per la presenza di Adam Kwiatkowski, ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede, e della sua famiglia. L’auspicio di madre Rafaela Fischbach è che «il Signore Dio, che ha chiamato suor Paschalis, insieme alle sue nove compagne, a dare testimonianza attraverso il martirio, conceda a tutti coloro che visitano questo santuario la grazia di una fede viva, di un eroico coraggio e amore e di affidare tutta la propria vita a Gesù Cristo».
9 ottobre 2023