Don Antonio Penazzi: i giovani e la scoperta della periferia romana degli anni ‘70

La scelta dei piccoli e degli ultimi, per un prete a tutto tondo, capace predicare il Vangelo in una realtà concreta disagiata

All’inizio degli anni ’70, un gruppo di amici appartenenti a un circolo cattolico – l’Ozanam di Roma – lasciano le loro case del centro della Capitale e vanno a vivere nella borgata Fidene, sulla Salaria, assieme al prete che li guidava spiritualmente. Quel prete era don Antonio Penazzi e la  storia sua e dei suoi amici è oggi ripercorribile in un bel romanzo con tanti tratti storici, scritto da Gianni Manghetti: “Il destino nasce giovane”.

Don Antonio era  nato nel 1925  Sant’Agata sul Santerno, in provincia di Ravenna, compagno di seminario del cardinale Achille Silvestrini. Don Penazzi, che in seminario aveva conosciuto e ammirato don Primo Mazzolari, era stato ordinato nel 1949. Da principio vicario nella parrocchia di Santo Stefano in Cotignola e poi nella parrocchia di Santa Maria in Prada di Faenza, nel 1951 si trasferì a Roma per completare gli studi, operando inizialmente nel quartiere popolare di Pietralata. Poi per molti anni fu al servizio della parrocchia di San Saturnino e insegnò religione al liceo classico “Giulio Cesare”. È proprio a confronto con la realtà giovanile in subbuglio del 1968 che don Penazzi inizia ad ascoltare i suoi allievi e scopre un mondo lontano spesso dalla Chiesa ma desideroso di cambiare la propria vita, e che ha bisogno del Vangelo. Un suo studente di allora ricorda: «Era più interessato a sentirci parlare che a parlare lui stesso. Tutto al più tendeva a glossare, a riassumere i concetti, a tirare le fila di ragionamenti spesso ancora appena abbozzati, confusi, dei suoi allievi ma nei quali cercava di valorizzare sempre il desiderio di cambiamento, l’irrequietezza».

E in quel biennio di fine anni Sessanta, nell’«autunno caldo», don Antonio inizia ad invitare alcuni suoi studenti del “Giulio Cesare” a incontrarsi oltre l’orario scolastico per scoprire vie nuove utili a cambiare se stessi e il mondo. Prendono così vita gli incontri del martedì pomeriggio nella saletta nel seminterrato della parrocchia di San Saturnino, in via Avigliana. Per molti giovani adolescenti inizia così un viaggio verso la scoperta di un Dio sino ad allora sconosciuto, un Dio accogliente ma anche capace di interpellare i cuori  e invitare ad aprire gli occhi e il cuore a mondi sconosciuti. La scoperta del Vangelo come forza liberante che chiama a vivere insieme e a prendersi delle responsabilità.

Al momento culturale del martedì si aggiunse presto quello liturgico: Don Penazzi ogni giovedì pomeriggio celebrava la Messa per i suoi giovani nella cappella delle suore Benedettine di Priscilla sulla Salaria. È un momento liturgico giovane e attrattivo, accompagnato da canti e fraternità, che incarna il rifiorire della Chiesa del post-Concilio. Da questo percorso nasce anche una esigenza di impegno concreto. E così nel 1971 – l’anno prima era stato incardinato nella diocesi di Roma – insieme ad alcune famiglie di amici don Antonio si trasferisce nella Borgata Fidene. Luogo ai margini estremi della città, sulla Salaria, dove il disagio e il degrado sono realtà quotidiana. A quel mondo dimenticato don Antonio sceglie di dare risposte concrete con i suoi amici e con gli studenti che coinvolge nell’esperienza di periferia. Organizza un doposcuola per i bambini che spesso la scuola ufficiale lascia indietro perché figli di immigrati dal sud che parlano male l’italiano. E per gli adulti avvia una scuola serale. Gli uomini della borgata sono quasi tutti operai edili, gente giunta dal sud, che scappa dalla miseria per completare l’edificazione di una Capitale che sta cambiando volto.  E alla fine di una dura giornata di lavoro alcuni di essi fanno l’ultimo sforzo, la scuola serale, per provare a strappare un futuro libero dall’analfabetismo.

Ma i problemi della borgata sono enormi. La scuola è piccola e costringe i ragazzini ai doppi turni. Ma quando il maestro manca i bambini vengono rimandati a casa senza avvisare le famiglie. Ed è così che muore il piccolo Mario, che si era fermato a giocare a pallone in una strada senza marciapiede e viene investito da un camion. Don Antonio attiva un Comitato di Quartiere e comincia a organizzare la gente perché si abbiano risposte concrete dall’amministrazione, che appare lontanissima. Arriva una scuola più adatta alle necessità del quartiere e poi si costruisce il marciapiede, là dove era morto il piccolo Mario. Don Penazzi, però, è prete a tutto tondo, e le sue omelie alla Messa delle 11 fanno breccia nel cuore di tanti in un quartiere che in gran parte era lontano dalla Chiesa. La sua predicazione del Vangelo in una realtà concreta e disagiata rappresenta una porta spalancata che avvicina alla Chiesa chi sino ad allora si era sentito escluso.

Quasi alla metà degli anni Ottanta la Chiesa di Roma gli presenta una ultima grande sfida: la guida di una nuova parrocchia, Sant’Ugo,  nell’immenso nuovo quartiere popolare della Serpentara, che è nato accanto alle vecchie casette abusive (poi sanate anche grazie al suo impegno) di Fidene. Ma è una sfida che don Antonio, ormai cinquantanovenne, non riesce a raccogliere: nella tarda primavera del 1984 comincia ad accusare i primi sintomi di un male che lo avrebbe portato via nell’ottobre successivo. Consapevole della fine imminente don Antonio era preoccupato del suo piccolo gregge, quel gruppo di amici di età diversa che sin da adolescenti avevano condiviso con lui le loro scelte di vita e le inquietudini di anni straordinari e difficili seguiti al Concilio Vaticano II. Cerca per loro un nuovo pastore. Li affida al suo vecchio amico Achille Silvestrini, che intanto è divenuto  segretario della sezione per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, e che quattro anni dopo sarebbe divenuto cardinale. E tra coloro che aiutarono don Achille nel compito affidatogli da don Antonio ci furono anche don Claudio Gugerotti, oggi Nunzio in Ucraina, e padre Luigi Padovese, poi divenuto delegato Apostolico in Anatolia ed ucciso a Iskenderun il 3 giugno 2010. Una task force di grande livello per garantire ai suoi amici una guida spirituale salda per il futuro.

Nel decennale della morte di questo grande prete che non ha lasciato scritti od opere ma che ha edificato la Chiesa lasciando memoria del suo apostolato nei cuori di tanti, i suoi amici chiesero al Comune di Roma di intitolargli un luogo. E nel novembre 1995, alla presenza del cardinal Achille Silvestrini e dell’allora vicesindaco Walter Tocci, venne inaugurato nel cuore della “sua” borgata il largo Don Antonio Penazzi. A memoria di un prete che scelse la periferia e che col suo impegno pastorale contribuì a cambiarla rendendola più umana e vivibile.

3 luglio 2019