Maria Vingiani, tessitrice dell’amicizia tra ebrei e cristiani

Protagonista del dialogo fin dal Concilio, fondò il Segretariato attività ecumeniche, che guidò fino al 1995, e coltivò un nuovo approccio con il mondo ebraico

Nell’aprile di 35 anni fa, un Papa per la prima volta varcava la porta del Tempio Maggiore, la Sinagoga di Roma. Papa Wojtyla, con quella visita del 13 aprile 1986, proseguiva il cammino segnato da Giovanni XXIII. Papa Roncalli nel 1959 aveva abolito nella liturgia del Venerdì Santo la preghiera “pro perfidis judaeis; in altra occasione aveva deviato il corteo pontificio sul Lungotevere per benedire gli ebrei che uscivano dal Tempio Maggiore; e aveva incontrato nel 1960 Jules Isaac, lo storico francese, ebreo e pioniere delle Amicizie Ebraico-Cristiane. E proprio per questo incontro, decisivo anche per le sorti del ripensamento conciliare riguardo al rapporto tra ebraismo e cattolicesimo, fu rilevante il contributo di una donna che ha saputo dare una forte impronta al dialogo ecumenico ed interreligioso come nuova dimensione teologica: Maria Vingiani.

Nata a Castellammare di Stabia nel 1921, Vingiani si trasferì a Venezia e si laureò a Padova con una tesi relativa ad una controversia tra cattolici e protestanti agli inizi del XVIII secolo. A Venezia imparò la dimensione plurale del cristianesimo, conoscendo le diverse tradizioni ed entrando in contatto con alcuni dei loro rappresentanti. Visse con entusiasmo la stagione del patriarcato veneziano di Angelo Giuseppe Roncalli, divenne insegnante e in quella fase ebbe anche un ruolo politico divenendo assessore alle Belle arti nella prima giunta di centro-sinistra della città lagunare. Tra i tanti ricordi di quella stagione rammentava l’episodio in cui, inaugurandosi una nuova rotta navale tra Venezia e Haifa, fu chiamata per il suo ruolo pubblico a varare la nave che avrebbe coperto quel nuovo percorso tra l’Italia ed Israele. E il patriarca in quella occasione gli avrebbe detto che bisognava pensare a una rotta che portasse direttamente a Gerusalemme.

Eletto al soglio pontificio col nome di Giovanni XXIII, Roncalli indisse il Concilio Vaticano II. Maria non resistette al richiamo di quella avventura spirituale, e su consiglio di monsignor Capovilla, il segretario del Papa – pur avendo avuto dalla Democrazia Cristiana assicurazioni di una candidatura ad un seggio parlamentare – abbandonò la politica, si fece trasferire come insegnante a Roma, e si dedicò all’attività ecumenica, con l’incoraggiamento del cardinale Agostino Bea.

Nel 1960 Jules Isaac chiese il suo aiuto per superare qualche resistenza di ambienti vaticani a un suo incontro col Papa. La tessitura di Maria in quell’occasione contribuì a sbloccare la situazione e a favorire un incontro (avvenuto il 13 giugno 1960), che ha rappresentato il seme dell’elaborazione conciliare della dichiarazione “Nostra aetate”. Attorno a Vingiani si raccolse un gruppo di laiche e laici, da principio solo cattolici, con la passione per l’ecumenismo. Da lì prese le mosse nel 1965 il Segretariato attività ecumeniche (Sae) che l’anno successivo si costituì in associazione.

Vingiani non partecipò direttamente ai lavori del Concilio ma il suo ruolo di tessitura tra i rappresentanti delle diverse Chiese in Italia, con esperti, osservatori non cattolici, personalità della cultura, ebbe nella sua abitazione romana un punto strategico. In quell’appartamento in via della Cava Aurelia 8, vicino alle mura vaticane e alla cupola di San Pietro, si è lavorato tanto per il dialogo ecumenico e interreligioso. Era la casa privata di Maria Vingiani ma è stato anche per anni la sede nazionale del Sae. Generazioni di donne e uomini hanno respirato in questa associazione interconfessionale di laiche e laici per l’ecumenismo e il dialogo un nuovo modo di approccio vicendevole tra credenti, soprattutto a partire dal rapporto tra ebrei e cristiani. Per lei il Concilio – come ebbe a dichiarare in un’intervista – aveva rappresentato soprattutto la «svolta radicale di verità del pensiero cristiano sull’ebraismo, favorita dal ritorno alle sorgenti bibliche e, soprattutto, dall’imperativo etico al cambiamento, imposto dalla Shoà (che Jules Isaac ha definito “il mistero di iniquità”) al pensiero e alla prassi delle Chiese». E giunse a sostenere che la riconciliazione con Israele era «la cosa più grande che la Chiesa ha fatto in duemila anni».

Maria Vingiani restò presidente del Sae fino al 1995 e col tempo fu chiamata ad assumere incarichi e responsabilità in organismi ed eventi ecclesiali ed ecumenici, in Italia e all’estero, promovendo tra gli anni Settanta e Ottanta la traduzione interconfessionale della Bibbia in lingua corrente, contribuendo poi all’istituzione da parte cattolica, a partire dalla fine degli anni Ottanta, della Giornata per l’ebraismo, da celebrarsi ogni 17 gennaio, alla vigilia della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: come a rammentare la radice comune delle diverse Chiese cristiane.

Nell’estate del 1997, mentre partecipava alla seconda Assemblea ecumenica europea nella città di Graz, ricevette per volontà di Papa Wojtyla la nomina di Signora dell’Ordine di San Gregorio Magno. Era la prima volta che tale onorificenza veniva assegnata a una donna per la sua testimonianza ecumenica e l’impegno nell’amicizia ebraico-cristiana. Fu la prima di una lunga serie di onorificenze che presero ad adornare il suo studio. Con l’avanzare dell’età decise di abbandonare Roma, che anche grazie alla sua opera era divenuta centro di tessiture ecumeniche e interreligiose, per ritirarsi a Mestre, dove è spirata alla vigilia dei 99 anni, il 17 gennaio del 2000: proprio nella Giornata per l’ebraismo, alla istituzione della quale aveva tanto contribuito.

15 aprile 2021