“L’equilibrio”, Vincenzo Marra nella “Terra dei fuochi”

Il regista si confronta con la cronaca più aspra e scottante. Al centro, due sacerdoti, non ispirati a figure reali, che «rappresentano la sintesi di diversi personaggi»

Nella sezione “Giornate degli autori” della Mostra di Venezia, autonoma e parallela rispetto a quella principale del Concorso, è stato presentato quest’anno L’equilibrio, un film italiano, di Vincenzo Marra, che entra a viso aperto dentro uno dei problemi più veri e amaramente attuali. Siamo in un piccolo paese del Napoletano, nella “Terra dei fuochi”. Qui arriva don Giuseppe, sacerdote già missionario in Africa, e ora, dopo un periodo di crisi, intenzionato a riprendere il proprio cammino di fede al servizio di una nuova comunità. Don Giuseppe prende il posto di don Antonio, che era entrato in forte sintonia con tutti gli abitanti, per la sua capacità di parlare schiettamente anche di argomenti delicati come quello dei rifiuti tossici. All’inizio, segue con doverosa attenzione le indicazioni del suo predecessore, ma poi capisce che la gravità della situazione impone un cambio di passo. Forse troppo presto entra in collisione con i giovani che, lo capisce subito, vivono e lavorano al soldo della malavita organizzata della zona. Per don Giuseppe il rapporto con il territorio si fa difficile e sempre meno sostenibile. Fino al punto in cui assiste al ritorno di don Antonio…

Vincenzo Marra ha esordito nel 2001 con Tornando a casa. Quindi ha diretto altri titoli quali Vento i terra, 2004; L’udienza è aperta,2006; La prima luce, 2015. Legato ad un cinema dalla forte impronta realistica, Marra si confronta in questa nuova opera con la cronaca, quella più aspra e scostante, quella non agevole da affrontare perché mette in gioco scelte difficili e impopolari. Tanto più se, come in questo caso, al centro della vicenda ci sono due sacerdoti impegnati nel proprio ministero. Non ispirati a figure reali. «Rappresentano però – dice Marra – la sintesi di diversi personaggi della cronaca, proprio come la storia che racconto. Anche il quartiere in cui ho girato, e che evito di nominare per non far torto alle tantissime persone perbene che vi abitano, è il simbolo del degrado di una zona che si trova ad appena un’ora e 40 minuti da Roma».

Il tema della malavita organizzata nelle zone di degrado e quello della presenza/assenza delle istituzioni in contesti nei quali finiscono per imporsi ed essere accettate leggi non scritte porta direttamente alla domanda sul perché Marra abbia deciso di rendere i due preti protagonisti della vicenda. «Da tempo desideravo girare un film “cristologico”, basato su un cammino spirituale. Avevo pensato a un documentario su un prete di frontiera nella terra della camorra, ma ho dovuto rinunciare perché ci hanno fatto capire che non ci volevano e sarebbe stato pericoloso per la troupe». Da questi interventi si ha più chiara l’idea di quanto il film entri con piena coerenza all’interno di una vicenda difficile. La rinuncia finale di don Giuseppe non è una ammissione di fallimento ma la consapevolezza che altri strumenti sono necessari, oltre alla preghiera e al perdono, per vincere la dura scorza del cuore di certe persone.

25 settembre 2017